(Fabrizio Dassano)
Di quel lontano evento abbastanza memorabile per Ivrea, si conserva ancora oggi un ricordo singolare: il foro di una granata da mortaio sparata dalla batteria francese posta su Monte Giuliano che dopo aver perforato il tetto della chiesa di san Nicola da Tolentino, nei pressi del Duomo, si abbattè sul pavimento miracolosamente senza esplodere. Raccolta, fu incatenata al soffitto a destra dell’altare. L’originale sparì probabilmente durante la Seconda guerra mondiale e venne sostituito con un pallone che recentemente è cascato a terra e non è stato più ripristinato.
Gli antefatti
Non solo per Ivrea il triennio 1704-1706 fu drammatico, ma per tutto il Ducato di Savoia: quasi tutte le piazzeforti erano cadute in mano del maresciallo di Francia, Vendôme. Questa guerra – un grosso litigio per l’eredità dell’Impero spagnolo – era scoppiata con la morte di Carlo II. Capovolta a guerra iniziata la soffocante alleanza con la Francia del 1696, il Piemonte si trovò a fronteggiare in casa le armate franco-ispaniche ex alleate. Lasciata Vercelli (conquistata all’alba del 23 agosto 1704), l’armata franco-ispanica si accampò sulle sponde del lago di Viverone, spogliando di ogni cosa case e cascinali. I contadini di quei luoghi si unirono a gruppi di ussari e pattugliatori della guarnigione di Ivrea e iniziarono una feroce guerriglia uccidendo i soldati francesi che riuscivano ad isolare e disarmare. Per rappresaglia Vendôme fece incendiare i villaggi di Palazzo, Bollengo e Burolo e da Ivrea videro alzarsi in cielo fiamme e colonne di fumo.
L’investimento della città
Il mattino del 30 agosto la cavalleria francese era già sulla strada Viverone – Ivrea all’altezza di Stallabia, mentre l’ala destra raggiungeva Chiaverano e l’ala sinistra Tina, con lo stato maggiore alla cascina Breda. Ad Ivrea venne ordinato l’incendio al convento dei frati Cappuccini affinché non venisse utilizzato da ridotto dai Francesi e un piccolo distaccamento di 50 moschettieri aveva dovuto lasciare precipitosamente i trinceramenti di Monte Stella e Monte Giuliano, prospicienti la città, per non venir immediatamente sopraffatti.
Seppur rientrati alla guarnigione, privarono due punti abbastanza strategici alla difesa. Invece alla trincea del Boselletto, 40 moschettieri del marchese di Pianezza resistevano ai francesi tenendo due importanti mulini per ben 18 giorni. Nella notte i difensori gettarono un ponte di legno sulla Dora Baltea per mettere in comunicazione diretta la Castiglia con la Cittadella, passaggio difeso da un ridotto trincerato eretto sul Ghiaro delle Lavandaie. Bersagliati dalle artiglierie della città, i francesi non riuscirono a scavare trincee e installare le batterie prima del 2 settembre, quando iniziarono il bombardamento della città con quattro batterie e le trincee d’approccio venivano scavate avvicinandosi sempre più alle mura di porta Vercelli. Intanto i francesi approntavano altre batterie: una sul Monte Giuliano, un’altra sopra la Madonna del Monte Stella, alla cappella dei Tre Re, altre a San Lorenzo e ai Cappuccini.
Oltre la Dora Baltea le approntarono alla cascina Mezzena, a San Nazario e al Martinetto. Anche i conventi divennero dei fortini improvvisati dai difensori; un distaccamento presidiava il convento di Santa Chiara che ricevette presto il fuoco nemico, medesima cosa avvenne al convento di San Michele che venne bombardato dai cannoni della batteria di Monte San Giuliano. Nelle notti del 2 e del 4 settembre due sortite permisero ai difensori la distruzione della cappella di San Nazario che riparava lo scavo delle trincee d’assedio dei Francesi, all’incirca presso il vecchio bastione spagnolo a mezzaluna del Caulero, fuori Porta Vercelli.
La difesa di Ivrea
La difesa, affidata da Vittorio Amedeo II all’ufficiale austriaco Kriechbaum e al governatore barone Perrone di San Martino era demandata ai comandanti Schulemberg e conte della Trinità. Era imperniata sullo sbarramento costituito dal fiume (Lungo Dora) su un lato e dalla cinta muraria su tutti gli altri lati. Erano 3200 i fanti, provenienti dai seguenti reparti: due battaglioni di Aiduchi ungheresi; un Reggimento La Reyne; un Reggimento Halt; due Reggimenti Schulem-burg; un Reggimento Aygoin; un Reggimento Fucilieri; un Reggimento Maffei; un Reggimento Trinità e un Reggimento Duvillard. Il nodo strategico era il Ponte Vecchio, via di comunicazione con la Valle d’Aosta, protetto dalla Castiglia e dalla Cittadella.
Ancora negli ultimi giorni d’agosto il governatore aveva fatto abbattere la chiesa di San Lorenzo che poteva diventare un pericoloso forte avanzato. Il 4 settembre i 12 mortai e i 64 cannoni francesi iniziarono il tiro di demolizione contro le mura della città per avere la breccia da assaltare a Porta Vercelli. Altri tiri erano di controbatteria e altri di demolizione. Furono contati fino a 1.400 colpi al giorno (all’assedio di Torino dell’anno successivo i Francesi spararono fino a 8.300 colpi al giorno). Vittorio Amedeo II giunse da Torino per assistere la difesa di Ivrea e si insediò a pochi chilometri a sud, a Stram-bino, unica via di comunicazione e soccorso con Torino rimasta aperta.
Portava un piccolo rinforzo di due battaglioni che riuscì ad entrare in città nella notte tra il 6 e il 7 settembre. Ma intanto il Vendôme, informato del movimento notturno avvenuto attraverso quella specie di “cordone ombelicale” rimasto alla città con il resto del Piemonte non ancora in mano francese, accelerava gli sforzi e faceva gettare un ponte di barche tra le furiose cannonate dei difensori asserragliati in città. Così la Dora Baltea era diventata attraversabile anche per gli assedianti, che vi fecero passare 35 squadroni e 15 battaglioni che presero il convento di San Bernardino: il cerchio si era chiuso: la via di soccorso con Strambino era tagliata, la città e i forti irrimediabilmente circondati. Vittorio Amedeo II lasciò Strambino e raggiunse il campo di Crescentino con il suo stato maggiore.
18 settembre 1704: La caduta
Sotto l’incessante bombardamento i Francesi riuscirono a penetrare nel camminamento coperto l’8 settembre e contemporaneamente Vendôme mandò 3.000 Spagnoli ad occupare Montalto Dora a nord della città, bloccando ogni accesso dalla Valle d’Aosta. Nella stessa lunga giornata lanciò 4.000 cavalieri per guadare la Dora Baltea, ma venne contrattaccato con successo dalla cavalleria austro-piemontese che li fece ritirare impedendone il guado.
Nella notte poi i Francesi per due volte riuscirono a prendere e a perdere la ridotta di San Nazario, per i furiosi contrattacchi condotti dal San Martino e dal Kriechbaum accorsi con l’intero presidio. I Francesi persero 150 uomini e i difensori ebbero 10 morti e 150 feriti fuori combattimento. In questa azione venne scoperta e sparata per la prima volta la batteria di San Michele che fece un gran macello di Francesi trovatisi allo scoperto.
Il 12, il 13 e poche ore prima del giorno 15 i difensori compirono tre audaci e feroci sortite: Kriechbaum aveva fatto preparare travi impegolate per gettarle ardenti sopra i nemici e grandi quantità di falci con lunghi manici e ancora tavole di legno con lunghi chiodi sporgenti più di mezzo piede. I combattimenti corpo a corpo si fecero sempre più feroci, disperati. Il 15 settembre la ridotta di San Nazario, strenuamente difesa per 15 giorni, cadde nelle mani francesi. Ma ci fu tutto il tempo per minarla, cosicché quando si precipitarono in massa all’interno, gli austro-piemontesi la fecero saltare: una pioggia di brandelli umani, armi, pietre e polvere ricadde a terra subito dopo la deflagrazione: rimasero uccisi sul colpo 160 francesi e 140 rimasero a terra feriti. Ma ormai il sistema difensivo della città di Ivrea era collassato: il 16 gli assedianti erano ormai padroni di tutte le opere esteriori e di quasi tutti i bastioni.
La resa della città
Il 18 settembre il barone Perrone di San Martino fece innalzare la bandiera bianca, dopo aver fatto sgomberare tutte le truppe e le artiglierie ancora utilizzabili nei forti della Castiglia e della Cittadella per l’ultima difesa. Arrivò l’ordine di innescare i fornelli di mina scavati nell’antico ponte romano risalente al 100 a. C. il quale, sconquassato dalle esplosioni, crollò nella forra sottostante tra una nuvola di polveri e fumi. Poco dopo i francesi erano padroni della città, ma la battaglia continuava per conquistare il Borghetto, ormai isolato, la Cittadella e la Castiglia.
Difesa e resa dei forti
Nella cittadella si barricarono 1283 soldati, di cui 16 cannonieri, un numero imprecisato di soldati che si mise tra le case a difendere il Borghetto, tutti sotto il comando del barone Schulemberg e del conte della Trinità. Perrone di San Martino e Kriechbaum si asserragliarono nel vecchio forte spagnolo della Castiglia. I francesi collocarono 4 nuove batterie in città, nella zona detta Ortasso, sulle rive della Dora Baltea, sulle rive del Lungo Dora e sullo sperone roccioso del Castellazzo prendendo d’infilata il quartiere del Borghetto oltre il fiume con un tiro continuo. Il Borghetto e la Cittadella soprastante si arresero il 27 settembre, dopo 9 giorni d’inferno. La vecchia Castiglia resisteva ancora anche se battuta costantemente dall’artiglieria francese posta a Monte Giuliano e al Crist, anzi il 22 ci fu ancora una sortita disperata condotta dal Signore di Saluggia.
Ma la situazione sarebbe precipitata il 30 settembre dopo un furioso bombardamento. Dopo 32 giorni d’assedio (8 ne aveva previsti il Vendôme) Ivrea era caduta in mano francese e la capitale aveva perso il suo collegamento con la Svizzera e la Germania a nord. I Francesi ebbero circa 7.000 soldati perduti, tra morti, feriti e disertori, contro i circa 350 morti, 400 feriti e 800 disertori fra gli assediati. Alla corte del re Sole a Versailles si esultò, si fecero banchetti sontuosi e Luigi XIV fece coniare una medaglia commemorativa dal titolo “EPOREDIA CAPTA” e poi ordinò un solenne Te deum a Notre-Dame a Parigi. Tutto il bestiame di Ivrea e circondario venne requisito e la comunità dovette mantenere a proprie spese l’intera armata vittoriosa che la fece da padrona per tutto l’inverno. Poi il 12 giugno 1705 i francesi lasciarono Ivrea per andare ad investire la linea Castagneto Po – Chivasso, prima del grande assedio di Torino.