(Editoriale di Carlo Maria Zorzi)
Era ancora buio, ieri mattina, quando la televisione ha detto a me, ma anche a te, a lei, a voi, a loro… insomma a tutti gli italiani, che ciascuno di noi ha sulla testa un debito da 38.000 €. Non il debito che abbiamo contratto con il padrone di casa al quale da tre mesi non paghiamo l’affitto, con il macellaio, il gommista, il dentista e chi più ne ha (di debiti) ne metta. Il debito da 38.000 € che pesa sulla testa di ogni italiano è stato contratto dallo Stato per continuare ad andare avanti tra investimenti, spesa corrente, sprechi, interessi da pagare, evasione, idee buone e meno buone, ecc… ecc…
Mi pare che nessuno, ad oggi, sappia bene come andrà a finire la diatriba con l’Ue sulla manovra; ma se lo sforo del 2,4% verrà in qualche modo confermato (o comunque anche ridimensionato un po’) i 38.000 € diventeranno molti di più. Siccome non è un debito che – finora – tocca direttamente il nostro portafoglio sembra che la cosa non ci preoccupi troppo. Sbagliato. Un giorno potrebbe anche non essere più così, semmai fosse necessario prelevare dai conti dei cittadini per ripianarlo.
I debiti debbono essere pagati e le promesse elettorali mantenute. Per cui la ginnastica sarà quella di togliere denari da una parte per metterli dall’altra. Vale in famiglia, vale per il Governo. I 5Stelle hanno fatto del taglio dei fondi all’editoria uno dei loro cavalli di battaglia da lungo tempo.
Tra denari che mancano e promesse da mantenere questo ritornello torna a galla, talvolta con toni più sommessi e concilianti, altre volte con slogan da perpetua campagna elettorale. In un clima che, su tutti i fronti, dimostra di essere sempre più intollerante per ciò che non rispecchia il nostro pensiero, qualcuno è persino d’accordo che lo Stato non aiuti più i giornali ad andare avanti.
Uno Stato che non garantisce e non sostiene la pluralità dell’informazione – compresa quella che non gli va a genio – è uno Stato che non ha a cuore la democrazia e la dialettica tra le forze. E il valore della democrazia lo si apprezza solo dopo averla perduta.