(Cristina Terribili)
Avete avuto modo di ascoltare la canzone che Lorenzo Baglioni ha scritto per Alzheimer Italia? Cercatela in rete e spendete qualche secondo ad assaporare ogni parola del testo. “Non ti scordare di volermi bene” è un messaggio in due direzioni, un grido disperato di un figlio, di un nipote ma anche di un anziano che comincia a non ricordare, che trova il vuoto dentro di sé. È un appello, che implica il riconoscimento dell’altro e soprattutto l’affetto, il legame che ha unito due persone. È come dire: se la testa la perdo io, non perderla anche tu, così mi riporti a casa, dove casa è sicurezza, è affetto, dove casa sono “io”.
“Non ti scordare di volermi bene” sembra che si debba dire a quei medici che, secondo il Rapporto Mondiale Alzheimer 2021, ritengono inutile la diagnosi di malattia di Alzheimer o di demenza, dal momento che non esistono ancora cure per contrastarla.
Eppure i medici lo sanno bene che, se una patologia non viene riconosciuta, non si ha l’accesso alle cure, non si hanno diritti, che la persona (e tutta la sua famiglia, aggiungo io) scompare nei meandri di una zona d’ombra che la ingloba e che la isola dal mondo.
Sono troppe le persone con demenza che si vedono negare gli aiuti che lo Stato prevede quando una persona non è più in grado di prendersi cura di se stessa. Non è etico costringere una famiglia a fare ricorso, a dover impegnare altre risorse economiche, quelle che mancano molto spesso, per garantirsi un’assistenza legale per vedersi riconoscere un diritto. L’isolamento della persona con demenza si rompe solo con la forza della presenza, chiedendo al mondo tutto riconoscimento e rispetto.
I racconti di figli, nipoti o badanti non mancano di aneddoti di propri cari che indossano tanti abiti, uno sopra all’altro, che di notte si svegliano e si preparano di tutto punto, pronti per andare a fare la spesa al supermercato o che indossano un bell’abito fiorato leggerissimo in pieno inverno.
Solo l’amore, o il ricordo di quando un familiare ci aveva aiutato ad indossare un abitino nella nostra infanzia, può aiutare – oggi – a prendersi cura e a non innervosirsi per la fatica di spiegare per tante e tante volte che bisogna rimettersi a dormire o rivestirsi in modo adeguato. Ci sono forme della demenza che scaturiscono in azioni violente: talora, chi ha solo confusione nella testa e ne è impaurito reagisce con rabbia, aggredendo, mordendo.
“Non ti scordare di volermi bene” è poi un appello a tutte quelle persone che un tempo si sono conosciute, ai negozianti presso i quali si facevano acquisti, ai vicini di casa, agli amici del circolo, affinché anche loro non perdano la pazienza, non abbassino gli occhi al passaggio, non neghino un saluto, un sorriso.
“Non ti scordare di volergli bene” è un suggerimento anche per tutti quegli operatori, negli ospedali, nelle RSA, che si occupano dei malati quando la famiglia non può o non c’è.
Non ci scordiamo di volere bene a chi affronta una malattia tanto insidiosa come la demenza o l’Alzheimer oggi – come domani, tra un mese, lontani dalla giornata mondiale –, perché ogni giorno dura un tempo infinito se non è pieno di attenzione, di calore, di un pensiero, di un ricordo.
Non abbassiamo lo sguardo di fronte a chi non ci riconosce più.
La memoria di una bella sensazione se ne va molto lentamente: non smetterò mai di ricordarlo a chi vive con un malato di Alzheimer, perché non dimentichi mai un sorriso o una carezza, non dimentichi mai di darla o di farsela dare.