La linea fortificata da 17 km. in sponda destra della Dora Baltea
(Fabrizio Dassano)
Nel basso Canavese orientale, percorrendo i boschi che ricoprono la sponda destra della Dora Baltea, nel tratto Mazzè – Borgo Revel, si possono ancora scorgere nel terreno sommità e terrazzamenti non riconducibili a forme naturali. Le minime tracce appaiono e scompaiono per circa 17 chilometri nel tratto rivierasco da Mazzè alla confluenza del medesimo fiume fino al Po, nel territorio di Calciavacca che dal 1934 si chiamerà più elegantemente Borgo Revel.
A prima vista sembrano tracce di vecchie colture abbandonate, in realtà sono le piccole e oggi quasi impercettibili tracce di un grande lavoro di fortificazione campale realizzato in pochi giorni da migliaia di uomini e predisposto su due linee d’arresto, quando il regno di Sardegna, per mano di Cavour rifiutò l’ultimatum di Vienna del 19 aprile 1859. In preparazione dello scontro imminente, si attendeva con trepidazione l’arrivo degli alleati francesi attraverso i valichi alpini per dar manforte al piccolo Piemonte, solo di fronte all’Impero Austro-Ungarico.
Il generale Manfredo Fanti aveva approntato un piano di battaglia che aveva inviato al generale Alfonso La Marmora il 5 marzo 1859, allora Ministro della Guerra. Napoleone III in persona aveva trattato il problema con Cavour a Plombières, e in seguito con i generali Niel e Frossard con la consulenza dello storico militare Thiers.
La riunione tra l’Armata sarda e quella francese era prevista tra Alessandria e Casale Monferrato o Vercelli per avanzare poi, secondo la resistenza avversaria, verso Piacenza o verso Pavia. Que-sto fronte avrebbe dovuto determinare l’arretramento dell’Armata austro-ungarica oltre il fiume Mincio e l’occupazione della zona delimitata dai fiumi Adige, Po, Mincio e l’altopiano di Rivoli Veronese.
Il rischio era determinato dai tempi dell’affluenza dell’Armata francese in Piemonte. Su questa incognita, alimentata anche dal carattere politico delle scelte di Napoleone III, il governo di Torino mise l’attenzione sulle posizioni da difendere per impedire che una puntata offensiva del nemico conquistasse la capitale. L’ultima barriera dopo il fiume Ticino, era costituita dal fiume Dora Baltea che nasce ai piedi del massiccio del Monte Bianco e si getta nel Po. A sud del Po vennero progettate opere di difesa sulla linea Valenza – Monte con piazzole per ospitare batterie d’artiglieria e venne rafforzata la fortificazione di Casale Monferrato.
Osservando la carta è evidente che la direttrice nemica d’invasione puntava su Novara – Vercelli – Cigliano e Torino. In soli quattro giorni, tra il 26 e 29 aprile (l’ultimatum scadeva il 29 aprile) migliaia di uomini diretti dal corpo del Genio piemontese realizzarono l’imponente sbarramento difensivo.
Nel frattempo, sotto la direzione dell’ingegnere idraulico Carlo Noè, (il cui monumento si può oggi osservare a Chivasso alla presa del canale Cavour) fu iniziato l’allagamento utilizzando i canali demaniali Tane, Cigliano, Bianzè, Lamporo e Rive che creano una rete di collegamento tra la Dora Baltea e il fiume Sesia: furono allagati 450 km.2 di territorio e strade che dovevano percorrere gli Austro-Ungarici.
Il maltempo favorì l’alluvione artificiale. La scena venne osservata dagli spalti del castello di Mazzè da Vittorio Emanuele II e dal suo stato maggiore: il ministro generale Alfonso La Marmora, i generali Enrico Cialdini, Federico Menabrea, Giuseppe Pastore e il maresciallo di Francia Francesco Certain Canrobert, i generali Adolfo Niel e Carlo Augusto Frossard, rappresentata da una litografia di Quinto Cenni del 1911, nell’occasione della posa di una lapide nel castello che ricordava l’evento. L’aveva voluta l’allora proprietario, il conte Eugenio Brunetta d’Usseaux, nipote di quell’Edoardo, capitano del “Nizza Cavalleria” che sarebbe caduto trafitto dalle lance il 22 maggio 1859 a Borgo Vercelli dopo aver caricato alla sciabola gli ulani con la sua squadra. Gli Austro-Ungarici non seppero sfruttare l’enorme vantaggio iniziale del rapporto in battaglia di 2 a 1, ideale per battere separatamente i Piemontesi e poi i Francesi.
L’incertezza regnava sovrana sia nella campagna del 1859: il comandante Giulay, malgrado l’ordine di attaccare, non attraversava il confine, cioè il fiume Ticino. L’Imperatore intimò al Giulay di attaccare il 27, ma ci vollero due giorni per far transitare l’armata, appena in tempo per incontrare i Piemontesi e anche i Francesi orami sopraggiunti. Il Canavese, seppur fortemente presidiato, non fu sconvolto dalle battaglie che avvennero invece in Lombardia: Montebello, Palestro, Confienza, Vinzaglio. Il 2 giugno i Franco-piemontesi passavano il Ticino e il giorno successivo battevano gli Austriaci a Magenta. Ma poi dopo le vittorie di San Martino e Solferino, Napoleone III interruppe le operazioni con la pace di Villafranca dell’11 agosto.
Il sistema di fortificazione per la difesa del Basso Canavese fu suggerito dal fiume Dora Baltea che era l’equivalente di un fossato allagato e la sponda destra ripida, era l’equivalente di un vallo erto e difendibile con opportune modifiche. Menabrea concepì la linea di difesa concentrandola su quattro blocchi di comunicazione nevralgici: 1° Stradale Torino – Milano, ponte di Rondissone; 2° Strada ferrata “Vittorio Emanuele”, ponte sotto Borgoregio; 3° Verolengo – Crescentino – Pavia, accesso ai porti natanti al di sotto di Calciavacca; 4° Mazzè – Villareggia – Cigliano, accesso al porto natante.
Venne adattato il terreno approfittando dell’irregolarità della riva, formando con i punti salienti e rientranti (le anse del fiume) bastioni e cortine, quindi coronare con batterie i punti essenziali di difesa, e collegare questi centri di fuoco con spalleggiamenti per la fanteria, tutte opere interrate per la necessaria rapidità d’esecuzione, accumulo di ostacoli nei punti dove il fiume si allontanava dal ciglione, tagliare le strade davanti alla I linea, scoprire il terreno antistante fino alla portata dei tiri d’artiglieria, minare i ponti in muratura, preparare fascine incatramate per l’incendio di eventuali ponti di legno o di barche gettate dai nemici, gabbioni fascinati per sbarrare la ferrovia. Tutto il sistema difensivo era collegato telegraficamente.
I lavori vennero affidati a due compagnie di zappatori del Genio: la 6a comandata dal capitano Doix raggiunse il 13 aprile Torrazza Piemonte e fu incaricata dei lavori a monte della ferrovia fino a Mazzè. La 7a comandata dal capitano Girolami per i lavori dalla ferrovia al Po giunse a Verolengo il 19 aprile, ma il 23 il capitano Girolami rimase vittima di un incidente: forse la prima della campagna del 1859. Fu sostituito il giorno dopo dal capitano Martini. I lavori furono divisi in sezioni così ripartite: per Mazzè il sottotenente Castelli, per Rondissone il luogotenente Boarini, per Borgoregio il luogotenente Martinazzi, per Torrazza il sottotenente Brunetti, per Calciavacca il sottotenente Vischi e per il comando locale di Verolengo il luogotennte Righini.
I lavori si sviluppavano su una lunghezza di 17 km. e iniziarono il 20 aprile, ma vennero interrotti per le violente piogge del 23 e del 24 aprile, e furono ultimati il 30 aprile. Vennero mobilitati i sindaci di Chivasso, Torrazza, Verolengo e Saluggia per la mano d’opera, raggiungendo i 3.300 uomini. Gli zappatori tracciavano e dirigevano i civili, eseguivano personalmente i lavori più delicati.
Ogni sindaco nominava i capi squadra e le squadre erano composte dai 20 ai 50 uomini che percepivano dai 1,15 ai 1,50 franchi la giornata. Le provviste di fascine e gabbioni vennero appaltate a imprese locali, i lavori di trincea semplice vennero date a cottimo a squadre di operai che si pagavano dai 40 ai 50 centesimi il metro corrente alto 1,30 m. La contabilità dei lavori era tenuta dal sotto-commissario del Genio Roggeri, del comando di Torrazza.
Nell’attesa dei Francesi i Piemontesi nel settore di difesa del Canavese orientale schieravano 18.600 uomini, 3320 cavalli, 200 pezzi d’artiglieria. Alcuni movimenti interessarono queste truppe quando gli Austro-Ungarici si attestarono sulla linea Tronzano – Santhià – Salus-sola – Mongrando – Biella. Allora giunsero di rinforzo un reggimento di Cacciatori delle Alpi e un battaglione di Bersaglieri. Il 9 maggio gli Austro-Ungarici puntarono in direzione di Ivrea, forse per aggirare la linea di difesa del Canavese, ma la strada fu loro tagliata dal “Nizza” e dal “Savoia” cavalleria. Il 10 maggio il “Savoia” si mosse verso Tronzano e il nemico nel pomeriggio abbandonò la posizione.
L’11 maggio, essendo chiaro che il nemico non voleva attaccare, le divisioni che presidiavano la linea di difesa ricevettero su sollecitazione francese, l’ordine di abbandonarle e di avanzare verso il fiume Sesia rientrando nei ranghi della 4a Divisione. La capitale era salva e il Canavese non aveva dovuto subire le offese di un pesante scontro.
Nella foto: La linea di difesa del Canavese (in rosso la prima linea, in blu la seconda)