(Michele Curnis)
I più indomiti appassionati della letteratura latina hanno sempre nutrito una sorta di rimpianto (per lo più inconfessato) per la scelta linguistica di Dante di comporre la Commedia in volgare italiano. Nel novero di chi riteneva che un’opera letteraria di grande impegno si potesse concepire soltanto in latino si registrano nomi straordinari, come quello di Francesco Petrarca, e altri assai più umili, soprattutto di eruditi ecclesiastici. Il vescovo di Fano Giovanni Bertoldi da Serravalle (1350/1360-1445) e il monaco benedettino Matteo Ronto (1370/1380-1442) furono i primi a tradurre in latino la Commedia, inaugurando un’abbondante tradizione di accostamenti a Dante in neolatino, completi e sistematici oppure parziali e occasionali, con la finalità di diffonderne il testo in un codice linguistico più illustre, capace di superare qualunque divisione o barriera determinate dalle lingue nazionali.
In tale tradizione, l’8 giugno 1873 è la data d’avvio di una fortunata vicenda editoriale, in cui il Canavese è protagonista di una nuova rivisitazione del poema: a Ivrea si celebra la Messa d’oro di Monsignor Luigi Moreno, e un sacerdote della diocesi, Giovanni Battista Mattè, rende omaggio al vescovo con la pubblicazione della traduzione latina dell’Inferno (Cantica de inferis), stampata dalla Tipografia del Seminario.
L’anno successivo Mattè avrebbe licenziato il Purgatorium e la ristampa della prima cantica, per completare poi la versione della Commedia nel 1876 con la pubblicazione del Paradisus. Nel 1887, sempre a Ivrea, la traduzione fu raccolta in un unico volume (Dantis Aligherii Divina Comoedia latinis versibus per I. B. Mattè), con la dedica in forma di esametro a Leone XIII, «Romulidum linguae docto, veterisque Camaenae» (“dotto nella lingua dei discendenti di Romolo e dell’antica Camena”, la dea agreste del pantheon romano più arcaico, sempre indicata come equivalente latino della Musa greca).
Nel 1907 apparve a Torino una ristampa postuma (Mattè era morto da quindici anni) e ancora nel 1915 uscì a Pinerolo una versione ampiamente rimaneggiata da un anonimo sacerdote. Per quasi trent’anni, dunque, si avvicendarono in Piemonte capitoli e ristampe dell’impresa dell’“Ovidio del giorno”, come il traduttore era stato soprannominato.
Giovanni Battista Mattè era nato a Inverso di Drusacco nel 1810; dopo aver studiato nel Seminario eporediese fu ordinato sacerdote e nel 1851 divenne arciprete vicario di Castella-monte. Fu uno strenuo cultore della poesia classica, dilettandosi della composizione in latino e alternando innumerevoli componimenti d’occasione a progetti di maggiore impegno, come la versione del Canzoniere di Petrarca o la Commedia di Dante. Ufficiale dell’Ordine Mauriziano, patrocinò la costruzione dell’asilo parrocchiale e, tra 1870 e 1875, quella della chiesa nuova di Castellamonte, dove morì il 15 gennaio 1892.
Per tradurre in latino la Commedia Mattè non si basò sul solo esametro (il verso classico della tradizione epica, solitamente adottato per rendere l’endecasillabo italiano di Dante), ma scelse la struttura portante del distico elegiaco, una “strofe minima” formata da un esametro e un pentametro. Alla ricerca di una cellula strofica apparentabile alla terzina dantesca, Mattè individuò nel distico quella più appropriata, condividendo forse il parere del più grande poeta neolatino dell’Ottocento italiano, Giovanni Pascoli, convinto che sul piano ritmico «una terzina ha lo stesso numero di percussioni di un distico elegiaco latino». Si prenda a esempio la terzina di avvio del Paradiso: «La gloria di colui che tutto move | per l’universo penetra, e risplende | in una parte più e meno altrove», in Mattè diventa: «Gloria per totum meat orbem cuncta Moventis, | parte alia radians plus, aliaque minus».
In occasione del centenario del 2021, il latinista e studioso di filosofia antica Enrico Renna ha ripubblicato un’antologia della versione latina di Mattè, contenuta in un pregevole volume per i tipi della Scuola di Pitagora editrice: Dante Alighieri, La Divina Commedia. Anto-logia in latino, traduzione di G. B. Mattè, Napoli 2021, pp. 178. Il recentissimo libro fa parte della collana “Biblioteca di cultura europea”, patrocinata dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Nella Introduzione (pp. 9-18) Renna si sofferma sulla biografia di Mattè, ricostruendo la fortuna della sua traduzione della Commedia attraverso i giudizi critici di dantisti e latinisti tra Otto e Novecento, appoggiandosi anche ai dati biografici reperibili in un articolo di Federico Ravello, che esattamente cento anni fa rese omaggio al traduttore canavesano in occasione del VI centenario della morte di Dante (Dante e il Canavese, «Bollettino Storico Bibliogra-fico Subalpino», XXIII 3-6).
L’oblio dell’arciprete di Castellamonte nel corso del Novecento fu soltanto apparente, come Renna argomenta sottolineando «una vera e propria consacrazione del Mattè traduttore latino della Commedia»: nel 1965, in occasione del VII centenario della nascita di Dante, il suo testo fu prescelto per le undici citazioni del Paradisus che costellano la prima delle Litterae Apostolicae motu proprio datae di papa Paolo VI, intitolata Septimo exeunte saeculo a Dantis Aligherii ortu (datata 7 dicembre, festa di S. Ambrogio vescovo).
Il documento pontificio fa esplicito riferimento alla fonte utilizzata, indicando la prima edizione del Paradisus di Mattè, stampato «Epo-rediae 1876».
Per approntare l’antologia, Renna ha selezionato trenta passaggi della traduzione di Mattè: tra gli undici provenienti dalla Cantica de inferis si apprezza la trascrizione completa del canto I; seguono dieci pagine dal Purgatorium e nove dal Paradisus.
L’estensione degli estratti è molto variabile, giacché si va dalla ventina di versi dell’episodio di Caronte (Inf. III 82-99, che in Mattè si trasforma in sei distici elegiaci) a canti interi (Inf. I, Purg. XXIV, Par. I e VI) o quasi completi (Inf. XIII o Par. XVII). In ogni caso, la scelta è sempre estremamente coerente, giacché il testo si ritaglia su scene unitarie, molto spesso centrate su celebri personaggi del poema: Francesca e Paolo, Ciacco, Farinata, Gerione, Ulisse, Guido da Montefeltro, il Conte Ugolino, Catone l’Uticense, Forese e Piccarda Donati, Giustiniano, Francesco d’Assisi e Domenico di Guzmán.
Per orientare il lettore, Renna ha provveduto a fornire «tutte le coordinate utili (come tempo, luogo, colpa, pena, personaggi) per un idoneo inquadramento spazio-temporale degli stessi all’interno di ogni Cantica, apprestando, inoltre, una sintesi specifica delle sequenze narrative individuabili in ogni singolo canto» (p. 18); in più, ha impreziosito il volume di xilografie provenienti da due antiche stampe del poema: l’incunabolo veneziano del 1491 di Bernardino Benali e Matteo da Parma con il commento di Cristoforo Landino e l’edizione veneziana del 1561 con il commento di Bernardino Daniello, per i tipi di Pietro da Fino.
Questa antologia, insomma, oltre a rendere omaggio a uno scrittore neolatino del Canavese, costituisce anche la più recente prova di un rinnovato interesse per l’uso del latino nella comunicazione letteraria e culturale dell’età contemporanea.
Una tradizione copiosissima, della quale il Piemonte vanta numerosi esponenti, come è dato apprezzare grazie a un’altra recente silloge: Auctores Latini Pedemontani. Un’antologia degli scrittori in lingua latina in Piemonte fra Ottocento e Novecento, a cura di Andrea Balbo (Edizioni dell’Orso, Alessandria 2019).