(di Graziella Cortese)
Nella mente di Eastwood era nata l’idea di girare una trilogia sugli eroi americani, gente comune che si è distinta per aver contribuito all’onore della Nazione (come in “Sally” e “American Sniper”)… Poi lo sguardo si è allargato e, partendo sempre da una storia vera, il regista ha voluto dedicarsi alle vicende di Leo Sharp, novantenne orticoltore dell’Illinois che piantò fiori alla Casa Bianca per Bush e nell’ultima parte della sua vita si dedicò a un attività illecita.
Siamo a Peoria, Usa. Earl ha quasi novant’anni e trascorre il tempo con la più grande passione della sua esistenza: coltiva sempre lo stesso fiore, l’emerocallide, simile al giglio; esso fiorisce solo un giorno all’anno e richiede molte cure. L’uomo è un veterano della guerra di Corea, è stato sposato, ma dalla moglie si è allontanato molto tempo addietro e la loro unica figlia non gli rivolge la parola poiché non si è mai veramente occupato della famiglia; solo la nipote Ginny ha per lui un ricordo vivo e moti di affetto sincero.
Quando Earl finisce in bancarotta e la sua attività chiude i battenti, la casa viene pignorata e si trova costretto ad accettare un misterioso incarico da parte di alcuni giovani messicani: trasportare merce per molti chilometri fino alla meta stabilita. Nulla di più facile per lui, che ha portato i suoi fiori in 41 dei 50 stati americani grazie al vecchio pick-up della Ford… La ricompensa per il vecchio Earl è sempre altissima, e qualche dubbio su cosa contengano le sacche può essere lecito: finché il protagonista scopre di essere diventato il corriere per il cartello Sinaloa, la grande e pericolosa organizzazione di trafficanti di droga messicani.
I quesiti sul tempo che passa ora diventano anche problemi morali: come saprà gestirli un anziano gringo, repubblicano, dalle idee obsolete e reazionarie, che assomiglia al suo interprete?
Ma noi, al vecchio Clint, siamo disposti a perdonare (quasi) tutto.