(Graziella Cortese)
Occorre tornare un po’ indietro nel tempo… quando alla fine degli anni ’60 il mondo occidentale aveva attraversato il boom economico e si trovava di fronte a nuove mutazioni culturali e sociali, la Colombia (come parte dell’America Meridionale) conservava ancora antiche tradizioni legate alla natura e riti ancestrali, resistevano culti primitivi e un forte senso della collettività e della famiglia.
Inizia in questo modo la storia narrata dai registi colombiani Ciro Guerra e Cristina Gallego (anche produttrice), che immergono fin da subito gli spettatori nella comunità Wayuu dedita alla pastorizia e all’agricoltura. Il giovane Rapajet, audace e ambizioso, invaghitosi della bella Zaida la chiede in sposa.
Ma la famiglia della ragazza vive al seguito di Ursula, donna sapiente e fortemente legata al senso del sacro: ella sa decifrare i sogni e sa dispensare regole e saggezza antiche. Rapajet dovrà portare in dote numerosi animali da pascolo e cinque preziose collane; il ragazzo, che si occupa di commercio di tabacco, non dispone di ricchezze sufficienti e decide così di intraprendere un traffico di droga con i gringos americani: riesce in questo modo, con la complicità dell’amico Moisès, a vendere notevoli quantitativi di marijuana, l’Oro Verde del titolo, che lo aiuteranno a prendere in moglie Zaida e a costruire una casa per i loro figlioli.
I sogni di Ursula diventano cupi. Un micidiale vento grigio di sofferenza si allarga sulle terre sudamericane: Moisès uccide per cupidigia i complici americani e ha inizio così una spirale di violenza infinita. Un certo tipo di cinema ha conferito alle storie dei narcotrafficanti, nonché alla figura di Pablo Escobar un alone romantico… La pellicola di oggi non ha questo intento, essa si trasforma in studio antropologico e descrive con accenti drammatici la trasformazione di un popolo: la stirpe wayuu cede al potere del denaro e del capitalismo.