Era gennaio del 2015 quando è cambiato tutto. Vai al lavoro ed improvvisamente ti viene comunicato che lo stipendio non ti sarà pagato, finirà “nel passivo” perché la tua azienda ha fallito e subentreranno degli amministratori straordinari per gestirla. Non capisci inizialmente, non vuoi credere che l’azienda per cui lavori da decenni non ti possa più pagare, fallita.
Mesi difficili, hai solo il tuo stipendio su cui contare, finché a giugno arriva la lettera che il tuo punto vendita chiuderà, sei a casa in cassa integrazione a zero ore e tu attonito ti siedi e rileggi la lettera centinaia di volte, tu da sola con un bambino da crescere hai un grido in gola e vorresti solo piangere, a 45 anni ti senti annientata.
Ma sorridi, inizi la procedura per la cassa, cerchi lavoro e sorridi quando tua madre ti porta la spesa, ti paga l’affitto, compra i vestiti per tuo figlio. Sorridi davanti alle porte chiuse in faccia, davanti ai “troppo vecchia, troppo giovane, troppo qualificata, troppo poco qualificata”, quando telefoni all’Inps per avere notizie dei pagamenti che “signora qui mica paghiamo lo stipendio, è un reddito di sostegno, si cerchi un lavoro se vuole certezze”, sorridi e resisti.
Trovi lavori pagati con i voucher, quello che capita dove capita, cerchi di fare corsi di riqualificazione ma “deve pagare, signora, lei un reddito seppur minimo lo ha”. Sorridi quando ti senti una nullità, quando ti manca il fiato per la paura di non farcela, la paura che ti portino via tuo figlio perché “non idonea”.
Anni passati a cercare un futuro con forza, la forza nata dalla paura e disperazione, anni attraversati con malattie gravi personali e lutti che hanno sbiadito il sorriso. Poi improvvisamente ti dicono “siete stati acquistati, potrete tornare al vostro lavoro” e tuo figlio sorride dicendoti “adesso non piangerai più mamma, abbiamo un lavoro finalmente”.
È questo che fa male, aver creduto veramente ed onestamente nel proprio lavoro e nei propri diritti, aver sperato in un futuro per i propri figli e ritrovarsi senza nulla. Senza tutele di sostegno, senza lavoro, derubati dei soldi e del futuro. Questo siamo noi della Mercatone Uno, siamo persone vere, siamo Paolo, Antonella, Stefania, Marco, Jela, Fausto, Terry, Claudia, Cristina, Marco, Ornella, Federica, Pier Luigi, Michela ed altri 3700. Una mattina ti ritrovi a dover sorridere nonostante tutto, perché arrendersi non è concesso a nessuno e la dignità non si svende.
Ho deciso di pubblicare questo post di Stefania Rosa da Romagnano Sesia dopo aver lungamente parlato con lei per capire nei dettagli la drammaticità della vicenda del fallimento del Mercatone Uno prima e di Shernon Holding poi, e cosa tutto ciò porta a pensare e soprattutto a vivere per chi né è vittima. Il post è stato scritto nel pomeriggio di martedì 4 giugno, pubblicato su Facebook; ho intravvisto nel racconto di Stefania non solo tutti i colleghi sparsi per l’Italia che hanno subito la stessa sorte e vivono nell’incertezza più totale, ma anche quelle migliaia, centinaia di migliaia di donne e uomini – nostri connazionali -, che senza lavoro e magari “della porta accanto” alla nostra, non suscitano nessuna emozione, nessun sentimento e nessuna compassione, tanto è ormai grande l’incapacità che abbiamo di ascoltare, condividere, aiutare, deboli come siamo diventati di fede e di umanità.