Il collega Alberto Riccadonna, direttore de la « Voce e Tempo » di Torino, nell’edizione di domenica 23 giugno, intervista Chiara Genisio in merito al gravoso ritardo nella consegna dei giornali da parte delle Poste. Chiara Genisio, torinese, è vicepresidente nazionale della Federazione italiana settimanali cattolici (Fisc), delegata piemontese di 25 testate attive nella nostra regione.
Come accompagna la protesta che sta salendo dalle Redazioni dei giornali locali, compreso il nostro, e dai lettori che lamentano ritardi sempre più frequenti nella consegna dei giornali da parte di Poste Italiane?
Stiamo ricevendo segnalazioni sempre più numerose da tutto il Piemonte: giornali che arrivano in ritardo di molti giorni, oppure non arrivano per niente, oppure nelle zone di campagna inciampano nella consegna a giorni alterni e arrivano chissà quando… Parliamo di centinaia di segnalazioni ogni settimana. Come commentiamo? Con irritazione. Le Poste hanno firmato un contratto con i giornali, e lo rispettano a singhiozzo.
Risarciscono i disservizi?
Il problema dei giornali non è quello di farsi risarcire, ma di arrivare a casa dei lettori che hanno pagato l’abbonamento. Alcuni si stufano di ricevere il giornale in ritardo e sono tentati di non abbonarsi più… Bel disastro.
Li si lascia andare?
Niente affatto. Li si si segue individualmente, caso per caso, si cerca di spiegare. Molti comprendono, hanno a cuore l’informazione e il giornale cattolico. Gli editori inoltrano alle Poste la segnalazione di tutte le proteste, tutte le settimane. Alcuni stanno perdendo la fiducia, stanno studiando sistemi alternativi di distribuzione, per esempio la consegna delle copie in abbonamento presso le edicole. I giornali del Triveneto hanno condotto trattative locali con le Poste, sembra abbiano ottenuto la promessa di un maggior numero di postini e dell’ottimizzazione delle consegne. Ma che fatica! E quanto danno all’informazione! Ecco il punto: l’inaffidabilità della distribuzione sta mettendo in discussione il diritto stesso alla libera informazione.
Un gesto voluto?
Questo naturalmente non si può dire, ma la questione del senso complessivo si pone. Ed è una questione di democrazia. Occorre alzare la voce, protestare senza perdere tempo. Da un parte il Governo profila tagli ai contribuiti di Stato per l’editoria, dall’altro lascia che il concessionario postale perda i giornali nei campi.
Come alzare la voce?
Stiamo cominciando a scriverne, sollecitiamo tutti giorni le Poste, cerchiamo di presentarci uniti come blocco di giornali. Il prossimo mese di ottobre si terranno a Torino gli Stati Generali dell’Editoria, promossi dal Governo, e in quella sede porremo precisamente la questione della democrazia.
Cosa prevede il contratto firmato dalle Poste?
Che i settimanali diocesani legati alla Fisc, che sono iscritti al registro nazionale Roc, vengano distribuiti con la stessa rapidità dei quotidiani: dovrebbero arrivare nelle buche delle lettere entro la giornata di consegna delle copie stampate ai centri di smistamento. Si chiama contratto J+0, noi paghiamo per averlo. Quando non viene rispettato paghiamo denaro inutile, stampiamo copie di giornale che non verranno mai letti.
Non è normale che possano verificarsi disservizi?
Qualche errore può capitare, qui però siamo a episodi di ritardo cronico. Ci sono casi di giornali che non arrivano neppure a destinazione.
Dicono che i postini siano meno numerosi di una volta. E che molti siano avventizi, abbiano contratti di pochi mesi…
Il problema degli organici va risolto dalle Poste. Noi abbiamo pagato e non possiamo accettare questa giustificazione da parte di una società come Poste Italiane, che ha scelto la privatizzazione, ha spostato il cuore del proprio business su servizi nuovi (bancari, finanziari, e-commerce), però continua a operare come concessionario di Stato nella distribuzione postale.
Qualcuno insinua che il flop delle Poste stia preparando proprio un disimpegno del concessionario di Stato e il debutto di un operatore privato.
Anche questo non si può affermare. Certo è logico che, nel disastro generale, possa saltar fuori una azienda pronta a rilevare il servizio. Sarebbe l’uscita di scena dello Stato rispetto a un servizio pubblico fondamentale, ripeto, per la vita democratica.
Tutto dicono che il futuro è digitale. Il volume delle spedizioni tradizionali (lettere, giornali) sta calando, le cartoline postali non esistono quasi più…
È probabile che il futuro richiederà un ripensamento dei modelli organizzativi, da parte di tutti. Però ripeto: qui siamo alla violazione di contratti commerciali, che sono stati regolarmente pagati. Molte volte le Poste ci hanno chiesto di collaborare modificando il nostro metodo di lavoro per agevolare il loro. L’abbiamo sempre fatto, ci sono giornali che hanno modificato i propri sistemi di confezione, alcuni hanno addirittura accettato di cambiare il giorno di stampa e pubblicazione… In cambio? Nulla.