I meteorologi ci dicono che farà ancora freddo, quando la primavera dovrebbe aver già dato i primi segni della sua apparizione. Un inverno lungo, frutto della rottura del vortice di aria gelida che d’abitudine circola sulla calotta polare: pare che il vortice si sia spezzato e il freddo sia destinato a scendere dalla calotta avvolgendo le nostre regioni. Se così sarà, terremo i maglioni più a lungo e spenderemo di più per il riscaldamento.
Ma c’è un altro inverno – con gelo – che sembra debba perdurare ben oltre l’avvicendarsi delle stagioni; non sono i meteorologi a dircelo bensì i dati dell’Istat. Parliamo dell’inverno e del gelo demografico che attanagliano sempre di più il nostro Paese nell’indifferenza quasi totale. In gioco, qui, non ci sono i maglioni invernali e neppure maggiori spese di riscaldamento. Gli effetti della denatalità, di cui ancora facciamo fatica ad essere pienamente consapevoli, saranno dirompenti. Eppure gli allarmi non sono mancati, ma sono stati tutti inascoltati.
Basta fare un po’ di ricerca per scoprire che già nel 2010 la Conferenza dei vescovi europei aveva espresso preoccupazione per il calo demografico. Che nel 2011 il giurista Francesco D’Agostino aveva chiesto di rimuovere gli ostacoli alla crescita delle famiglie per rispondere al calo demografico. Che nel 2012 l’Istat aveva già segnalato il calo demografico in Italia per il quinto anno consecutivo (e ora siamo al decimo). Che nel 2013 l’AIBI aveva chiesto di rimuovere gli ostacoli all’accoglienza dei figli. Che nel 2014 il sociologo Massimo Introvigne aveva imputato al calo demografico la responsabilità – almeno in parte – della crisi. Che nel 2015 il messaggio della CEI per la giornata della Vita gridava che il calo demografico era causato dalla mancanza di politiche familiari. Che nel 2016 Paola Ricci Sindoni di Scienza & Vita affermava necessarie delle politiche di sostegno alla maternità, a cui faceva eco Joseph Weiler dal Meeting di Rimini, sostenendo che il vero problema dell’Europa non sono i migranti ma il calo demografico. Per arrivare alla Laura Boldrini dei giorni nostri, che ha detto che “senza un’inversione del calo demografico il nostro Paese rischia il declino”.
Ovviamente le allerte sono state molto più numerose di quelle citate qui. Non si può dire di non essere stati avvisati da autorevoli personaggi, non solo della Chiesa Cattolica (che, va riconosciuto, da molto più tempo e con maggior forza si è schierata in favore della vita e dell’umanità). Perfino la Cina archivia la politica del “figlio unico” ed apre all’aumento della natalità.
Difendere i valori “naturali” costa, ma i frutti prima o poi arrivano, anche per chi rema contro. Forse più che remare contro, pare che nessuno remi affatto, lasciando la situazione in un pericoloso stallo. Nino di Maio dell’Associa-zione Progetto Famiglia ha recentemente affermato che “…non è sufficiente incentivare gli asili nido, bisogna consentire ai genitori di fare i genitori. La famiglia deve essere una priorità assoluta per la politica”. Le promesse elettorali di questi giorni si ripetono anche trasversalmente in certi partiti e schieramenti. Ma onestamente c’è poco o nulla che lasci trasparire una visione di politica familiare sul medio e lungo termine per far ritornare la primavera laddove regna sovrano l’inverno.
La settimana scorsa, a pagina 12 dedicata all’economia e al lavoro (e non è stato un caso la scelta di quella pagina), abbiamo pubblicato i dati della popolazione in netto calo anche nel Nord-Ovest. Anche, ma non solo. Così è in tutta Italia, dove nel 2017 si sono registrate 464.000 nascite (-2% rispetto al 2016 e nuovo minimo storico) e 647.000 decessi (31.000 in più dell’anno precedente).
Il Forum delle Associazioni Familiari ci fa sapere che “da circa quaranta anni i tassi di fecondità sono molto bassi: meno di due figli per donna. Un dato, soprattutto, induce a riflettere: è molto marginale la quota di persone che dichiara di non volere figli. È attestata invece un’ampia parte di popolazione che desidererebbe due o più figli, e che però non ha i mezzi per andare oltre il primo. Per anni la politica ha considerato la natalità un tabù. Ma è arrivato il momento di non guardare più alla prospettiva di parte o agli interessi elettorali. In ballo c’è il destino di un Paese. I dati sull’andamento demografico indicano da soli la strada che è necessario prendere: mettere al centro dell’attenzione politica il tema natalità. Farne una priorità e farlo subito”. Ci associamo.
Nulla è più opportuno che venga detto proprio in questo momento; prossimi alle urne, guardiamo (e ascoltiamo) con attenzione a chi si schiera da questa parte, a chi non parla per pura propaganda e neppure per ramazzare voti. Sarebbe troppo facile da sgamare perché sostenere un Patto per la Natalità – come quello proposto dal Forum delle Famiglie – non è cosa che possa riuscire a chi non ci crede fino in fondo, propenso più a puntare sui conflitti tra posizioni opposte, a polemiche strumentali e a scontri ideologici, per far si che tutto cambi senza che nulla cambi.
Il calo demografico ha e avrà così tante implicazioni negative che alla fine il tema della natalità riguarda tutti, anche chi non vuole avere figli. Anche il mondo laico partecipa – e deve partecipare sempre di più e con vero interesse e senso di responsabilità – alle discussioni sulla famiglia per sostenere delle azioni specifiche di supporto alle responsabilità genitoriali, per la costruzione di alleanze educative in particolare con il sistema scuola, per la promozione dei servizi socio-educativi per l’infanzia, per il potenziamento delle azioni per la conciliazione dei tempi di vita e lavoro, per il sostegno alle famiglie con anziani e disabili. In altre parole va ripensato e creato un nuovo modello di welfare capace di sostenere le famiglie, con un occhio di attenzione a quelle più fragili e in difficoltà. I giovani d’oggi non rifiutano la genitorialità a priori, ma è difficile fondare una famiglia senza quelle condizioni di base che permettano di fare un programma della propria vita. Se solo il 49% delle donne lavora diventa poco vero dire che non fanno figli perché lavorano; forse non li fanno perché non lavorano e senza un lavoro la precarietà e l’instabilità fanno paura nell’immaginario delle giovani. E’ quindi ora di andare ben al di là delle semplici promesse elettorali di impatto immediato, di corto raggio e d’effetto. Occorre piuttosto arrivare a un quadro legislativo a sostegno delle famiglie, a politiche per la famiglia che vadano al di là degli estemporanei aiuti economici che lasciano sempre qualche perplessità in fatto di sostenibilità nel futuro remoto. Ma una domanda sorge quasi spontanea: nel passato le nostre famiglie hanno conosciuto situazioni di disagio e di povertà maggiori delle attuali; nel Sud del nostro paese le sacche di povertà sono state – e per un certo verso lo sono ancora – più presenti rispetto ad altre regioni del nord; per non dire dei Paesi poveri – e poverissimi – nei diversi continenti… Ebbene in tutte queste situazioni dove la precarietà del futuro regnava, il tasso di natalità è stato – e lo è ancora – molto alto. Hanno continuato a fare figli e senza quelle garanzie che noi vogliano – giustamente – che ci vengano accordate. Che differenza c’è alla base di comportamenti così dissimili?
Carlo Maria Zorzi