(sr serena e sr valentina, del monastero di lugnacco) Luca racchiude in pochi versetti tante sfumature della preghiera, dal rapporto con il Padre, a cosa chiedere, a come chiedere. Noi cogliamo solo qualche pennellata, senza poter entrare in profondità nella preghiera del Padre nostro, ma offrendo un approccio alla pericope di questa domenica.
1. La prima notazione è il desiderio dei discepoli. La preghiera di Gesù è davvero affascinante se la desideriamo così per noi: “Signore, insegnaci a pregare”. Vogliamo per noi quello che vediamo in Lui. E Lui di questo è contento! Il Signore non ci risponde: “Guarda lascia perdere, queste non sono cose per te, prima dovresti cambiare, ma non è detto che tu ne sia capace”. Replica invece immediatamente: “Quando pregate dite: Padre…”.
La preghiera è pratica. Quando Madre Teresa di Calcutta diceva che a pregare si impara pregando, scardinava tutti i sentire del nostro tempo: “Prego se mi sento…”, “Me lo devo sentire…”, “In questo periodo non mi sento di pregare…”, “Prego a casa da solo, con gli altri non resto concentrato…”, e via di seguito.
La preghiera si impara, la preghiera è relazione e la relazione è esigente, esige di essere vissuta con quotidianità, con perseveranza, per usare il linguaggio evangelico.
2. Impariamo a dire “Padre”.
La preghiera è relazione con Un Altro, non contatto con le profondità, con un’energia impersonale, con l’universo e chi più ne ha più ne metta. C’è un’Alterità, un Altro da me che riconosco come Colui che mi ha generato e che sempre mi genera, a Lui mi rivolgo facendomi forte della relazione che Lui mi ha donato. Non sono un estraneo, un’estranea, il Cristo mi ha reso figlia, lo Spirito Santo mi rende capace di dire in verità che Tu sei mio Padre e io ti chiamo. La preghiera del Padre nostro ha senso solo a partire da questa prospettiva, non è una formula magica: noi chiediamo al Cristo di insegnarci a pregare e Lui ci regala il suo rapporto con il Padre.
3. La preghiera è invadente.
Il Signore Gesù ci invita a invadere lo spazio di Dio, a insistere senza tregua, a disturbare. Cadono tutte le nozioni di galateo con la Trinità. Qui viene davvero da pensare all’insistenza dei bambini quando chiedono qualcosa fino allo sfinimento. È un’insistenza, chi prega lo sa bene, che educa tantissimo il nostro cuore alla fiducia. In questa insistenza, quando l’oggetto della richiesta non è più importante di Dio, non è cioè divenuta un idolo, il cuore si apre e diviene grato di ciò che vive anche nel bisogno. La preghiera chiusa sperimenta una dilatazione. Spesso si vive una Pasqua che segna un passaggio importante della propria vita. Mentre invadiamo la Trinità cambia la misura del nostro spazio interiore, cambiano i pensieri, si converte lo sguardo. Anche nella fatica cogliamo una grazia che non vorremmo perdere.
4. La preghiera di domanda ha un oggetto: lo Spirito Santo. Chiediamo a Dio… Dio stesso, che ci dia se stesso, nulla di meno. Lo Spirito Santo che abbiamo sperimentato nella preghiera insistente, che ci ha ammaestrato e guidato nella Liturgia, diviene l’unica richiesta. Perfino noi sappiamo dare cose buone a quanti amiamo; il Signore Gesù ci assicura che l’amore del Padre è maggiore di ogni amore e vuole per noi il meglio.
Chi chiede lo Spirito Santo lo riceverà certamente, avrà in regalo il dono più prezioso per la vita dell’uomo: il meglio di Dio per noi. Chiediamolo insieme, per noi e per tutti, chiediamo e ci sarà dato.