(di Carlo Maria Zorzi)
Poter raccontare di un oratorio nuovo da due milioni di euro è una soddisfazione; sentirselo raccontare è entusiasmante.
Poi arriva il comunicato della Curia eporediese (pubblicato giovedì scorso sul sito ufficiale della Diocesi di Ivrea) e l’opinione pubblica si divide tra chi non ne ha capito le ragioni e chi invece – ce ne sono sempre tanti, ovunque – pretende di aver capito più degli altri, dando origine alle interpretazioni più varie e a commenti a dir poco spropositati.
A fronte delle numerose domande intorno al grandioso progetto, presentato pubblicamente domenica 19 gennaio nella chiesa parrocchiale di Castelrosso, è evidente che si sia resa necessaria qualche dichiarazione ufficiale.
A ben leggere, il comunicato curiale non esprimeva valutazioni sul progetto (né bocciature – come qualcuno ha scritto -, né approvazioni senza visionarlo), ma richiamava semplicemente l’attenzione alle norme canoniche previste per l’iter di realizzazione di un’opera che è parrocchiale.
Possiamo comprendere che il linguaggio giuridico del comunicato non sia stato facilmente interpretabile e non è mancato chi, a sentire parlare di “provvedimenti canonici”, ha drizzato le orecchie ravvisando in quell’espressione chissà quali “scomuniche”!
Nulla di ciò. Il riferimento ai “provvedimenti canonici” deve essere inteso come dovere di vigilanza sui beni ecclesiastici che l’Ordinario diocesano (cioè il Vescovo oppure, per la parte di responsabilità che gli compete, il Vicario Generale) è tenuto ad esercitare.
Nessuna “scomunica” o chissà cos’altro: una precisazione non è un’intimidazione, ma è un chiarimento sulla sinergia tra i competenti organismi diocesani e la parrocchia, quando si tratta di decidere l’avvio di opere a favore della comunità.