CHE COSA LASCERÀ IN (E DI) NOI QUESTO VIRUS

(Cristina Terribili)

ROMA – Abbiamo alle spalle una settimana piena di eventi, di colpi di scena, di decisioni che hanno cambiato il corso di tante abitudini in tutta l’Italia. Una settimana in cui tanti pensieri si sono affollati nella mente, e dove, parlando con le persone, sono emersi tanti contrasti, per i quali ci si è chiesti quale sarà l’eredità che raccoglieremo da tutto questo periodo, da questi mesi che stanno trascorrendo sospesi sulle nostre vite.

Questa settimana ha visto passare in sordina l’8 marzo. In questo periodo di restrizioni, se un pensiero va a tutte le iniziative a favore di un confronto che abbiamo dovuto rimandare, un altro va a quelle donne ancora invischiate nella spirale della violenza domestica: quelle che ancora sono obbligate a rimanere in casa insieme a chi – con la menzogna di un amore – le maltratta, le picchia, trova ogni pretesto per scaricare su di loro le proprie frustrazioni, le proprie incapacità. Chissà che un vicino, costretto a rimanere chiuso in casa, non senta un grido di troppo e non esiti a chiamare aiuto per chi non ha voce.

Come non legare questo pensiero anche a tutte quelle famiglie che traballano nei sentimenti e che si trovano a fare i conti tra le quattro mura domestiche. Come non pensare a tutte quelle famiglie, tali solo su carta, che soffrono lo stare insieme e che se fino a qualche tempo fa potevano contare sul lavoro, come fuga da una prigione di sentimenti, ora si trovano a cercare ogni genere di scusa per potersi allontanare da chi è diventato ormai solo un estraneo. Ma poi penso anche a tutte quelle famiglie che invece si ritrovano a casa e che sperimentano un gioco, che condividono il piacere di vedere un film seduti tra divano, poltrona e cuscini sparsi sul pavimento. E rimanendo ad osservare le famiglie da lontano, ecco che il mio pensiero va alle famiglie con una persona disabile, spesso reclusi già da molto tempo, perché muoversi, quando si ha in casa una persona affetta da una disabilità grave è complicato.

Da qui il mio pensiero va a chi è scappato dalle aree rese già “calde” dal Covid-19 e si è andato a rifugiare in seno alla propria famiglia d’origine. È vero che a volte, quando siamo spaventati, quando abbiamo paura, cerchiamo con tutti i modi un riparo, è vero però che queste azioni hanno messo e mettono a repentaglio molte altre vite di persone che, forse, avrebbero fatto di tutto per vivere in modo sufficientemente sereno.

Ma, anche qui c’è il rovescio della medaglia, c’è chi, per lo stesso timore del contagio, per lo stesso amore dei propri cari, ha deciso di rimanere lontano, di non rischiare di far ammalare rimanendo distante.

Questo virus sta mettendo alla prova le abitudini di tutti, il mondo dei valori e la resistenza psicologica.

Chissà, se alla fine di tutto questo conteremo più le nascite o le separazioni, se avremo avuto modo di capire che nel mondo siamo tutti strettamente connessi, che deve esserci una responsabilità individuale che si rivolge necessariamente alla collettività o se saremo vittime ancora di più dell’odio e della diffidenza che vengono generati dalla paura.

Chissà se avremo compreso l’importanza di avere un collega di lavoro al nostro fianco, della telefonata di un amico, del lavoro di tante persone che cercano di tutelare la nostra vita.

Chissà che non ci fosse bisogno di un evento, ancorché drammatico, per scuotere le nostre coscienze, per dare un nuovo senso al nostro vivere.