(di Filippo Ciantia) Mentre si pensa alla fase 2 dell’epidemia, ho ricordato l’inizio della mia esperienza medica. Con Luciana, mia moglie, avevamo deciso da tempo di dedicare una parte della nostra vita professionale all’Africa. Dopo la laurea decisi di iscrivermi alla Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva.

Mi era chiaro, contro ogni stereotipo, che salute pubblica e prevenzione fossero fondamentali per la salute delle popolazioni più povere. Era necessario rendere accessibili i servizi sanitari, promuovendo la partecipazione comunitaria. La responsabilità dei Governi andava di pari passo con il diritto-dovere dei cittadini di partecipare alla realizzazione della salute.

Infatti, gli ospedali ugandesi erano colmi di bambini ammalati di malattie infettive: diarree, polmoniti, morbillo, pertosse, difterite, tetano… La mortalità era altissima e i rischi per gli operatori sanitari elevati. Luciana si fece la meningite e due epatiti virali, io una sola epatite, ma in compenso mi buscai una grave difterite.

In ospedale si applicavano terapie eroiche cercando di salvare più vite possibile. Ma occorrevano campagne di vaccinazioni per evitare che il morbillo uccidesse i bambini e la poliomielite causasse disabilità. L’igiene personale e familiare evitava le diarree, micidiali nei bambini piccoli. Servivano centri di salute vicini ai villaggi, per rendere disponibile la Clorochina, allora il miglior antimalarico, ai bambini e alle mamme incinte, per evitare che lunghi tragitti per raggiungere gli ospedali portassero ad anemie mortali e complicazioni incurabili.

Oggi sembra talvolta di essere tornati a quei giorni.

Perché il dopo sia per il bene comune, occorre – come si sognò ad Alma Ata e come ha invocato Papa Francesco nella veglia Pasquale – che le risorse siano usate diversamente: non per fabbricare armi e promuovere conflitti, non per uccidere la vita non ancor nata, non per la ricchezza di pochi, ma perché la vita dei popoli sia serena e pacifica e tante malattie e dipendenze siano prevenute attraverso l’educazione e la responsabilità e il servizio di tutti e per tutti.

“La Chiesa indica il modo di costruire la società in funzione dell’uomo. Il suo compito è di inserire in tutti i campi dell’attività umana il lievito del Vangelo”.
Giovanni Paolo II, 22 dicembre 1980