(Filippo Ciantia)

Quello appena trascorso è stato un Primo Maggio particolare: senza manifestazioni, concerti, incontri famigliari, gite e viaggi.

Proprio 5 anni fa aprivano i tornelli della grande Esposizione Universale di Milano 2015. Era il risultato di una preparazione di quasi 7 anni di duro lavoro (almeno per me), per portare tutto il mondo a Milano e in Italia e per mostrare la bellezza e l’operosità del nostro “bel Paese” al mondo intero. Il 30 aprile c’era stata pioggia: poi, per 6 mesi non piovve più, con l’eccezione di un sabato con temporali e disagi.

Quel primo di maggio 2015 ci si prese pure la libertà di cambiare le parole all’inno di Mameli. I Piccoli Cantori di Milano lo conclusero con: “Siam pronti alla vita, l’Italia chiamò!”

Come sono lontane quelle 182 giornate che cambiarono il volto di Milano e dell’Italia. 182 giornate di festa e colori, di folle ai cancelli, di code di ore per visitare i padiglioni più belli e conoscere le bellezze e le bontà culinarie ed alimentari di 139 Paesi.

15 parole riassumono quell’evento cui ho potuto partecipare come artefice e cittadino: meraviglia, conoscenza, viaggio, incontro, esperimento, gusto, moltitudine, coinvolgimento, condivisione, orgoglio, insieme, verde, cura, serenità, legacy. Chiudendo gli occhi e pronunciando ognuna di quelle parole mi riempio di ricordi, volti, immagini, sensazioni, amicizie.

Oggi, guardando le strade deserte di Milano, pare che tutte queste 15 parole siano state svuotate e i tanti anni di lavoro resi vani.

Eppure, c’è un aspetto del “nostro“ Expo che va ricordato proprio nella giornata che il mondo ha dedicato a ricordare i lavoratori e il valore del lavoro. In un Primo Maggio in cui si addensano nubi oscure sulla sorte di tanti posti di lavoro, c’è una concezione che voglio ricordare con consapevolezza e impegno.

Il mio Expo è stato soprattutto un servizio al mio Paese, al bene del mio popolo. Gli anglosassoni lo chiamano “civil service”. Oggi come non mai, per ricostruire dobbiamo recuperare l’unità di intenti e la volontà di servire il nostro paese attraverso l’arduo lavoro che ci aspetta dopo il lockdown. Sarà un cammino lungo, forse quanto gli anni di preparazione dell’Expo, ma sicuramente torneremo a riaprire i tornelli del nostro Paese a tutto il mondo.

“Il lavoro non è che la continuazione del lavoro di Dio” (Papa Francesco)