(Editoriale)
Di primo acchito, sentire che ai percettori del reddito di cittadinanza, agli inoccupati e ai senza vincoli lavorativi è possibile dare un “lavoro da volontario” a sostegno del proprio sindaco e della propria comunità, nel contesto della fase2, può anche sembrare una buona notizia.
Ma se poi si riflette su cosa dovrebbero fare gli “assistenti civici” le cose cambiano. 60 mila persone verrebbero arruolate come volontari per vigilare sul comportamento degli italiani e sul rispetto del distanziamento sociale.
Il ministro Boccia e il presidente dell’Anci Decaro hanno scatenato un uragano lanciando questa proposta. Impegnare i percettori del reddito di cittadinanza e gli altri è cosa buona, dar loro un qualsiasi tipo di lavoro non lo è.
Non lo è per il modo estemporaneo in cui verrebbero reclutati conferendo delle enormi responsabilità a degli emeriti sconosciuti, per la provvisorietà che rivestirebbe il loro “contratto”, per la mancanza di formazione e quindi l’improvvisazione nell’espletamento delle loro funzioni, per una immagine taroccata che ne uscirebbe del volontariato “vero”, e per l’inevitabile mancanza di autorità e autorevolezza che avrebbero per andare a tirare le orecchie ai disobbedienti delle disposizioni anti-Covid. Concordiamo con l’ex prefetto Serra che ha previsto che “riceverebbero tanti vaffa e tante legnate”.
Dopo questa fuga in avanti (che il ministro non riconosce come tale) e la conseguente alzata di scudi, il premier Conte si è impegnato per una mediazione.
Uno scivolone che non fa bene a un governo apprezzato durante la crisi sanitaria, ma molto meno su come sta affrontando la crisi economica, con troppi verbi al futuro nella descrizione del rilancio del Paese.
Un futuro che è oggi; anzi paradossalmente era già ieri.