(Fabrizio Dassano)
Ri-adattarsi alla normalità dopo un periodo tanto anormale, rende sempre i cambiamenti assolutamente imprevedibili.
Eppure anche oggi il condominio si anima come ogni altra mattina, l’automobile è sempre lì sotto il balcone, tutto sembra come appare… Si compiono più o meno le stesse cose di tre mesi fa solo che si va di più in giro mascherati. Sembra un carnevale infinito: in un batter d’occhio siamo passati dal berretto frigio alla mascherina FFP2.
Esattamente oggi, 86 anni fa le truppe americane guidate dal generale Mark Wayne Clark entravano in Roma nella lenta risalita della campagna d’Italia. Anche in quel tempo qualcosa era finito e qualcosa d’altro stava per iniziare. L’Italia fu liberata da sud a nord. Qui da noi restavano ancora molti drammi e tragedie da consumare per arrivare alla fine della guerra per poi arrivare al referendum popolare del 2 e 3 giugno 1946 quando gli italiani, femmine e maschi, scelsero la via repubblicana girando pagina con la monarchia sabauda.
Da ieri sono consentiti i trasferimenti attraverso le regioni, cioè anche se non c’è un valido motivo, abbiamo riacquistato la libertà di movimento, almeno dentro il territorio nazionale. Ieri ho fatto la colazione al bar, al bancone, naturalmente dietro il plexiglass, però al bancone: è stato il riappropriarsi di un’altra libertà prima negata. Probabilmente il croissant era sempre quello, ma mi è sembrato incredibilmente più buono di sempre. Forse i periodi di anormalità ci permettono di gustare le cose gradevoli della normalità. Che però ci eravamo dimenticati esistessero.
Dal 15 giugno dovrebbero riaprire i cinematografi e i teatri, un altro grande passo verso quella vita sociale “sospesa” nell’intrattenimento “dal vivo”. Allora forse anche la nostra città prenderà lentamente e con oculatezza quell’andamento solito in corrispondenza di un periodo nel quale, peraltro, Ivrea si svuotava normalmente delle sue migliaia di studenti che iniziavano le loro vacanze scolastiche. L’unica è aspettare cosa succederà a settembre.
Mi è arrivata una e-mail dal mio ex vicino che mi spiega la storia del cavallo bianco di Napoleone dell’indovinello dello scorso numero del nostro giornale: fu l’ultimo e il suo prediletto, si chiamava El Vizir, uno splendido stallone Arabo che fu regalato all’imperatore nel 1802 dal Sultano ottomano Selim III. Napoleone lo apprezzava moltissimo e fu il suo cavallo nelle campagne di Prussia e Polonia e lo seguì anche nell’esilio all’isola d’Elba.
In seguito alle vicissitudini di Napoleone, l’animale passò attraverso diversi proprietari e morì alla bella età di 33 anni nel 1826. Fu impagliato – era l’ultima spoglia della gloria imperiale di Bonaparte – e passò anche in mani inglesi e quindi al Louvre, per essere poi portato al Musée de L’Armée nel 1904 ove risiede tuttora a Parigi.
Ma esiste un secondo “cavallo bianco di Napoleone”: si chiamava Marengo, ed è esposto (solo lo scheletro) al National Army Museum di Londra. Uno splendido esemplare di stallone arabo che nel 1799 era stato portato in Francia dall’Egitto, e che accompagnò il condottiero nelle battaglie di Austerlitz, Jena, Wagram e anche di Waterloo.
Anche il cavallo Marengo (così chiamato dalla battaglia che lanciò l’epopea di Napoleone, svoltasi in provincia d’Alessandria il 14 giugno 1800, dopo aver oltrepassato qualche giorno prima Ivrea), sopravvisse al suo illustre proprietario: catturato in seguito alla sconfitta di Waterloo, il cavallo morì serenamente di vecchiaia nel 1831, ben dieci anni dopo il suo padrone.
Ora che ci penso: il mio ex vicino che sa tutte queste cose diceva di non avere internet… e poi El Vizir e Marengo non sono propriamente bianchi: il primo tende ad un leggerissimo nocciola e il secondo veniva descritto come tendente al grigio.
Non sempre tutto è quello che sembra…