(Cristina Terribili)
Ma quanti tipi di povertà ci sono? E siamo davvero sicuri che tutti i tipi di povertà derivino dalla mancanza di denaro?
Da diversi anni, il mondo delle associazioni mette in atto azioni contro la “povertà educativa minorile”, formula che definisce quella condizione in cui un bambino o un adolescente si trova privato del diritto all’apprendimento in senso lato, dalle opportunità culturali ed educative al diritto al gioco.
Nella definizione di Save the Children, che da anni studia il fenomeno, si sostanzia come “la privazione, per i bambini e gli adolescenti, della opportunità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni”.
Sebbene povertà economica e povertà educativa si alimentino a vicenda, non bisogna tralasciare il carattere multidimensionale del problema e che, le definizioni fin ora date, si poggiano sulle teorie delle capacità sociali.
Secondo la teorica Martha Nussbaum, l’uguaglianza sociale passa anche attraverso la promozione della libertà individuale, intesa come opportunità, aperta a tutti, di realizzare i propri progetti di vita. Oltre alle risorse economiche, senza dubbio utili, sono essenziali risorse culturali e di capacità di discernimento per poter raggiungere la maggiore realizzazione personale possibile.
Chi vive una condizione di povertà educativa non manca solo dei soldi per poter acquistare i libri (facilmente recuperabili attraverso altri sistemi), manca soprattutto della motivazione, dell’autostima, di capacità comunicative ed empatiche, delle competenze utili per cooperare, ha aspirazioni e sogni per il futuro ridotti. Tutto questo, nella vita di un bambino che cresce e diventa adolescente, favorisce l’abbandono precoce di percorsi formativi e scolastici.
Un approfondito studio della Caritas mette in evidenza come nella radice della vulnerabilità degli adulti che si rivolgono ai suoi servizi, si nascondono percorsi incompiuti di scuola e non adeguati livelli di formazione culturale e professionale. La mancanza di denaro è però solo in parte responsabile di queste condizioni. Se qualcuno non accende la luce della conoscenza e della bellezza, difficilmente si potrà accedervi e difficilmente si potranno fare scelte, nella propria vita, orientate verso lo sviluppo di competenze personali e sociali di valore positivo.
Ancora una volta appare dunque fondamentale la risorsa della comunità educante, che non può e non deve essere rappresentata solo dalla scuola.
Ogni volta in cui rinunciamo a condividere quello che sappiamo con gli altri, priviamo noi stessi e un numero infinito di persone della possibilità di accedere ad uno spiraglio di luce.
Qual è il dramma del buio? Che nel momento in cui noi non portiamo nella vita di un bambino o di un ragazzo la bellezza e la ricchezza della conoscenza, della cultura, della storia e dell’arte, noi stiamo orientando il futuro di quella persona verso obiettivi miseri e con difficili possibilità di riscatto. Chi rinuncia ad apprendere da quello che lo circonda non sarà poi in grado di fare quello sforzo di apprendimento verso un nuovo ambito.
E i soldi, per recuperare tutto questo, saranno ben poca cosa.