(Fabrizio Dassano)
Tornare a viaggiare? “Ma mi faccia il piacere…!” verrebbe da dire, come esclamava Antonio Scannagatti nel film del 1952 diretto da Steno “Totò a colori” rivolgendosi al compagno di scompartimento onorevole Cosimo Trombetta (impersonato da Mario Castellani, storica spalla di Totò).
Dopo la pandemia, niente è come prima.
Anzitutto, addio low cost. Se prima del covid 19 un volo andata e ritorno per la Cina, ad esempio, costava poco meno di 600 euro da Torino passando per Amsterdam e Xiamen prima di arrivare a destinazione a Guanzon, oggi di euro ce ne vanno 1816 per la medesima tratta e ci vanno quasi 51 ore per arrivarci facendo scalo a Francoforte, Dubai, Calcutta e Guanzon.
Altri modi per viaggiare in Cina più o meno avventurosi ci sono, ma i tempi si dilatano ulteriormente. La famosa “via della seta” terrestre è una chimera per la situazione in Iran e per le frontiere occidentali cinesi che sono praticamente chiuse.
Qualcuno ha usato da Torino, ma prima del Covid 19, il treno nella tratta Trieste – Vienna – Praga e Mosca e da qui con la Transiberiana per raggiungere Pechino, sfidando la burocrazia dei visti di ingresso. Insomma raggiungere la Cina via terra è peggio che ai tempi di Marco Polo.
Né va meglio ipotizzando di seguire la via del mare attraverso il Mediterraneo, il canale di Suez, il Mar Rosso, l’Oceano indiano e infine il Mar cinese: magari in barca a vela c’è qualche possibilità con qualche skipper coraggioso, ma resta l’incognita dei pirati somali del Corno d’Africa che non è un racconto di Salgari ma una realtà nata negli anni ’90; e poi c’è il costo che non è per tutte le tasche. Con i visti di ingresso ci sarebbe da ridere sulla data esatta dell’arrivo.
Sempre via mare c’è un’altra alternativa più sicura che è la via delle navi cargo portacontainer: alcune compagnie europee e cinesi hanno un certo numero di cabine a bordo da affittare e ci vanno indicativamente sui 35 giorni di navigazione con partenza da La Spezia per esempio. La vita a bordo è come quella dei marinai ma non si lavora e si paga comunque una bella cifra (che si aggira sui 7.000 euro).
Insomma viaggiare sta diventando difficile per i mille impedimenti nati con la pandemia e la drastica riduzione dei voli, la scomparsa dei voli a basso costo, la fine di quella globalizzazione del viaggiatore che aveva caratterizzato gli spostamenti umani fino a pochi mesi fa.
Forse bisognerà prepararsi a viaggiare con tutti i mezzi possibili, impresa per la quale potrebbe rivelarsi utile rileggersi il “Giro del mondo in 80 giorni” di Giulio Verne. Londra, 2 ottobre 1872: il gentiluomo Phileas Fogg con il cameriere Jean Passepartout parte per vincere una scommessa nata nell’esclusivo Reform Club. In ballo ci sono 20mila sterline pattuite con i suoi cinque compagni del Club, ognuno dei quali ne ha messe in palio 4mila. Fogg riceverà la somma a patto di riuscire a completare il giro del mondo in 80 giorni.
Il gentiluomo parte la sera stessa lasciando Londra con il treno delle 20:45: dovrà riuscire a rientrare alla stessa ora al Reform Club 80 giorni più tardi, sabato 21 dicembre (ci riuscirà, ma noi per comodità lo seguiremo qui solo fino in Cina). Dunque, da Londra Phileas raggiunge Parigi e poi in treno passa per Torino fino ad arrivare a Brindisi: qui si imbarca e attraversa il Mediterraneo e il canale di Suez in 7 giorni. Da Suez a Bombay ci mette 13 giorni in piroscafo.
Altri 3 servono per attraversare via terra (in ferrovia e a dorso d’elefante) l’India Britannica, da Bombay a Calcutta, via Allahabad e Benares. Da Calcutta a Victoria City (oggi Hong Kong) impiega 13 giorni in piroscafo attraverso il Mar Cinese Meridionale.
Insomma, un totale di 36 giorni per arrivare dall’Inghilterra alla Cina. Come detto, Phileas Fogg vincerà la scommessa ritornando per tempo al Club dopo aver attraversato gli Stati Uniti.
La morale? Oggi come allora viaggiare è sempre una scommessa!