(Cristina Terribili)
Il Covid-19 e la salute mentale hanno molto in comune. Pur evitando ogni generalizzazione va detto che entrambi sono sottostimati, rifiutati, negati; entrambi sono considerati qualcosa di distante, che potrebbe non toccarci e non riguardarci mai, entrambi mietono vittime, più o meno silenziose, preoccupano i sanitari e dividono l’opinione pubblica sulla prevenzione e la cura. Ma entrambi sono attuali, e uniti causano disperazione, isolamento, devastazione.
Raccogliamo in diversi contesti la testimonianza di chi rifiuta di fare il test perché si vergogna, dovrebbe avvisare parenti ed amici, si sentirebbe un untore.
La vergogna e lo stigma lo accogliamo spesso nelle persone che soffrono un disturbo mentale, impossibilitati a raccontare quello che succede per il timore di essere allontanati, toccati dalla vergogna per l’assunzione delle terapie farmacologiche.
Nella salute mentale, così come con l’epidemia da Covid-19, la prevenzione è un argomento che, al di là delle buone intenzioni, è difficile da mettere in pratica. Se ne parla, si tracciano le linee guida, si conoscono gli elementi favorenti e quelli di protezione.
“Basterebbe così poco!”, è il pensiero di chi sa che una mascherina, il distanziamento sociale e l’igiene delle mani sarebbero sufficienti a contenere i rischi di contagio, tanto quanto la prossimità e l’accesso a servizi di pronto soccorso psicologico potrebbero essere un primo passo verso la soluzione della crisi più acuta.
Molti medici ed infermieri sono morti per aver contratto il virus. I professionisti della salute mentale pagano con il burn-out senza poter contare su avvicendamenti di personale più flessibili. Da quando il coronavirus ci ha costretto a ripensare la salute pubblica in termini di comunità, e non di singola persona, siamo stati capaci di riorganizzare strutture, servizi, persone, per poter offrire una risposta rapida ed il più possibile efficace ad un evento critico. La salute della mente è importante tanto quanto quella del cuore o di un altro qualsiasi organo.
Sarebbe bello veder moltiplicarsi le iniziative a favore delle diverse patologie psicologiche o psichiatriche e avere un eco maggiore in merito agli interventi e agli scenari di cura.
Con il Covid-19 l’ansia e la paura hanno toccato tutti. Rifiutare i pensieri e le emozioni che scaturiscono dal rischio di contagio favoriscono una gestione non idonea di sé e l’esposizione a comportamenti non corretti.
Parlarne, confrontarsi e confidarsi senza temere giudizi quando ci si rivolge ad un professionista della salute mentale, consente di riorganizzare la propria persona verso modalità più consone, consapevoli che chiunque, in qualsiasi momento della vita, può essere psicologicamente fragile e aver bisogno di ritrovare le forze per poter continuare a credere in se stesso e dare senso alla propria vita.