EDITORIALE (di Paolo Bustaffa – sir)
Sembra una contraddizione. Da una parte, a fronte del diffondersi del contagio, ci sono la paura e l’incertezza e dall’altra c’è un pensare il futuro che è stato introdotto e viene accelerato dalla pandemia. Da un lato c’è chi vive di giorno in giorno, dall’altro c’è chi si proietta sul domani. Da una parte c’è l’allarme per la catastrofe economica, oltre che sanitaria, e dall’altra c’è la convinzione che proprio Covid 19 sta introducendo un “alfabeto del futuro” dettato in particolare dalla tecnologia.
La sfida è guidare la forza innovatrice dell’alleanza scienza e tecnica per non esserne travolti. Continua e cresce un confronto che dovrà essere alimentato dalla saggezza, oltre che dalla conoscenza scientifica e tecnologica.
Guardare il futuro, avviare una solida ripartenza, si declina sempre più con una terminologia che fino a ieri sembrava solo per pochi addetti: green economy, blue economy, innovazione, digitalizzazione, economia circolare… Termini che ricorrono spesso nelle pagine dei giornali, nei servizi radiotelevisivi, sui social e che diverranno sempre più familiari. In tutto questo qual è il posto dell’uomo?
Chi parla di ”alfabeto del futuro” non scarta la domanda e ribadisce che l’uomo deve guidare la tecnologia, non deve diventarne schiavo, non deve correre il rischio di un delirio di onnipotenza.
Anche nel tempo delle terapie intensive la domanda è quanto mai presente.
Non si tratta solo di non essere travolti dalla tecnologia ma di impedire che si ripresenti nel mondo una forbice che lo taglia in parti diseguali.
La pandemia, se si osservano i comportamenti dei Paesi ricchi nei confronti di quelli poveri, non sembra aver insegnato molto. Basti pensare a come qualcuno vorrebbe la distribuzione dei futuri vaccini.
In questa situazione la politica è richiamata con forza a un sussulto di responsabilità rispetto a quello “alfabeto del futuro” che l’economia e la tecnologia hanno iniziato a scrivere.
Non sembra, almeno guardando gli scenari nazionali e internazionali, che siamo a buon punto. Tocca allora alla cultura riprendere servizio nella società perché è da una buona società che può nascere una buona politica.
Di una cultura generativa di passione per la dignità di ogni persona e per il bene comune i cattolici sono chiamati ad essere artefici oggi più che mai. Della loro intelligenza del tempo ha bisogno ogni “alfabeto del futuro”.