(Fabrizio Dassano=
Questa volta non parlerò delle galline del mio ex vicino (che comunque hanno drasticamente ridotto la produzione di uova e hanno cambiato le piume).
I fatti relativi al distruttivo saccheggio del salotto buono di Torino sono doppiamente inquietanti: la rivolta è partita da gruppi di giovani organizzati con i cappucci neri, una versione covidizzata dei “black block”. Non si può non essere colpiti dal fatto che, seppur giovani e senza futuro, oltre al resto, hanno sfondato le vetrine di Gucci in via Roma per fare quello che una volta si chiamava “esproprio proletario”. La vetrina di Gucci è un segno di pura semiotica, importante per capire il valore del consumismo di lusso in rapporto alla povertà delle nuove generazioni.
I tempi son cambiati: evidentemente ormai anche il black block va in giro griffato, senza troppi problemi nell’accompagnarsi ad antagonisti dei centri sociali, esponenti di estrema destra, “casseurs” di periferia, ultras calcistici (come successo a Roma) e manovalanza della criminalità organizzata (al Sud). E, diciamolo, anche a quell’anarchismo che, da Sante Caserio a Gaetano Bresci, ha sempre avuto una sua valenza romantica.
Tanti i giovanissimi, tra i teppisti delle vetrine. Storie diverse, che hanno fatto comunella e si sono ben infiltrate in manifestazioni e cortei che avevano l’obiettivo di protestare pacificamente. E così, dopo la guerriglia dell’altra notte a Napoli, i disordini a Roma, Milano e Torino di lunedì, non sono suonati come un campanello d’allarme, ma le hanno suonate per bene al vivere civile anche in tempi di pandemia.
La manifestazione pacifica dei commercianti “fucilati” dal nuovo Dpcm ha dato quell’humus vitale agli incazzati di ogni epoca. La violenza terroristica (perché ha lo scopo principale di incutere terrore nelle persone “normali”) rinasce a Torino come ai tempi delle Brigate Rosse. Non saranno più strutture piramidali chiuse, ma viaggiano sui social, sul tam tam che invoca Ares a risolvere le proprie frustrazioni quotidiane, che detta violenza al posto del fare qualcosa di non devastante.
La rivolta corre sui social semplicemente perché il social oggi è un mezzo di comunicazione veloce e rastremato per gruppi d’interesse: anche quelli di rivolta e che si prendono i loro spazi tra animalisti, vegani, modellisti, pescatori, cacciatori, collezionisti di francobolli e ortolani virtuali. Tutto corre sui social. Ma la piaga non è il social, bensì la caduta della società ai tempi del Covid 19 e del suo “A volte ritornano…”.
Nel frattempo la Cina è sparita dai fiumi generalisti del giornalismo quotidiano somministrato. Non c’è più la Cina, la Cina ormai è “sulla luna” (come disse Napoleone a Waterloo a proposito dell’arrivo al campo di battaglia del prussiano von Blücher al posto dell’attesa riserva francese di Grouchy). Gran male del mondo da fine febbraio a maggio, ora del gigante asiatico non se ne parla più. Forse perché la seconda ondata in Cina non è arrivata… già, ma perché? Forse perché non sono andati in vacanza quest’estate? Forse hanno dovuto/saputo rinunciare per davvero agli assembramenti? Forse hanno rispettato (o gli hanno fatto rispettare) le regole? Forse… non lo sapremo mai!
In realtà, sappiamo in tempo quasi reale che Melania Trump ha tenuto un comizio da sola per la prima volta ma non sappiamo i dati del Covid a Ginevra che dista 221 km da Ivrea e 253 da Chambéry in Savoia, mentre tra Ivrea e Firenze ci sono 446 km e da Ivrea a Roma ce ne sono 714 di km.
La piaga forse è una società rimasta per troppo tempo miope in balia di furbetti saliti al soglio del potere, che ci hanno semplicemente ingannato.
E noi, reduci degli effetti dei dollari del piano Marshall americano, siamo stati ben felici di farci ingannare per decenni e oggi ai nostri figli e ai nostri nipoti cosa abbiamo lasciato? Macerie di una vetrina di Gucci sfondata in via Roma a Torino in una sera d’ottobre.