Siederà sul trono della sua gloria e separerà gli uni dagli altri.
XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)
Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo
(Elisa Moro)
La stupenda scena evangelica, conclusiva dell’anno liturgico, presenta l’immagine matteana del giudizio “universale”, del momento in cui Dio “giudicherà il mondo con giustizia e i popoli con rettitudine” (Sal. 97, 9) e “resurget creatura, iudicanti responsura” (risorgerà ogni creatura, per rispondere al giudice), come canta l’antica sequenza del Dies Irae.
Cristo, giudice sovrano, “in quel tempo” (Mt. 25, 31), collocato non in un’epoca immaginaria futura, ma nella reale attualità degli eventi, siede sul trono della sua gloria, essendo “il capo del corpo, cioè della Chiesa” (Col. 1, 18).
Il senso della Solennità di Cristo Re, istituita da Papa Pio XI nel 1925, con l’enciclica “Quas Primas”, può allora essere ricompreso nel cogliere in ogni istante il segreto dell’amore rivolto all’altro, nel donarsi al fratello nel quotidiano, immergendosi con maggiore intensità nel mistero del Verbo incarnato, come “Re dei cuori, per quella sua carità che sorpassa ogni comprensione umana” (Quas primas, 1).
È lo svelarsi del criterio del giudizio di questo Re: “alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore” (San Giovanni della Croce, Opere, p. 1091) rivolto ai più piccoli, attraverso segni
concreti: “ho avuto fame, sete; ero forestiero, nudo, malato, carcerato” (Mt. 25, 35-36), poiché “la carità è la pienezza della legge” (Rm. 13, 10).
Papa Benedetto XVI, in Deus Caritas est, evidenzia che, alla luce del brano evangelico di Matteo, “l’amore diviene il criterio di una vita umana”e la capacità di vedere con gli occhi di Cristo porta non solo a “consegnare all’altro le cose esternamente necessarie: posso donargli lo sguardo d’amore di cui egli ha bisogno” (Deus Caritas est, 15-18).
Solo nel contatto con Cristo, “punto focale dei desideri della storia” (Gaudium et Spes, 45), Re che ricapitola “in sé tutte le cose” (Ef. 1, 10) e che “in aris ábderis vini dapisque imàgine” (“sugli altari si tiene nascosto nelle sembianze di pane e vino” – come canta l’inno dei Vespri), l’uomo si apre alla missione, non si chiude all’egoismo, ma rende la sua vita un continuo “canto nuovo”.
Proprio nel canto c’è l’espressione e la sintesi perfetta dell’amore vissuto e donato: “cantare è di chi ama”; cantare porta a camminare, a percorrere passi: “canta e cammina, se progredisci è segno che cammini nella santità” (Sant’Agostino, Discorsi 336, 256), verso il Re della gloria.