(Graziella Cortese)
Quando Mary Shelley cominciò a scrivere il romanzo “Frankenstein” aveva 19 anni e una fervida fantasia: il testo era nato quasi per gioco, ma probabilmente mai l’autrice avrebbe immaginato un tale successo e le tante trasposizioni della sua creatura. Il film di Mel Brooks ha compiuto 45 anni, e dopo un restauro e una versione in digitale può assumere, con pieno diritto, la definizione di cult-movie.
Siamo a New York, all’università: il famoso dottor Frederick Frankenstein, nipote dell’altrettanto celebre scienziato Victor von Frankenstein, scopre di essere erede di un castello in Transilvania, la terra del nonno e dei suoi avi. Frederick parte per l’Europa, ma non è particolarmente felice del viaggio, poiché non apprezza l’opera del suo antenato e la fama dei suoi esperimenti neurologici.
Ma una volta arrivato a destinazione decide di condurre i suoi studi nel castello e di approfondire le ricerche del nonno dopo averne scoperto gli appunti segreti…
Qui conosce il suo curioso collaboratore, Igor, e l’assistente Inga, una sensuale signorina che l’aiuterà negli esperimenti chimici. L’idea di dare vita a una creatura utilizzando parti del corpo umano comincia a farsi strada nel dottor Frederick: non rimane che trovare un cadavere e scegliere il cervello adatto…
Nella pellicola sono state tagliate alcune scene, poi diffuse e diventate altrettanto famose; da ricordare, inoltre, la particolarità della traduzione e del doppiaggio: nonostante la difficoltà di trasporre in italiano alcuni giochi di parole, la maestria di Mario Maldesi, direttore del doppiaggio, ha permesso una vera e propria riscrittura della sceneggiatura.
Girato in bianco e nero, con uno stile e una fotografia vicini al cinema degli anni Venti, lo stesso Gene Wilder ha affermato: “Ci siamo messi a fare i fratelli Marx, e non abbiamo mai smesso di ridere”.