(Fabrizio Dassano)

Franco Quaccia è uno storico “innamorato” di Ivrea e della sua storia, che nel corso della sua sterminata attività di ricerca si è occupato più volte della stampa locale e ha incrociato la sua strada con quella del Risveglio Popolare.
Classe 1954, all’Istituto Tecnico “Camillo Olivetti” ebbe come insegnante Aldo Moretto, autore del libro “Indagine aperta sugli affreschi in Canavese”, che fu critico d’arte alla Gazzetta del Popolo e a lungo apprezzato collaboratore anche del nostro giornale. Dopo il diploma e alcuni anni di studi al Politecnico, Quaccia maturò la decisione di seguire la passione che nei primissimi anni ‘70 gli era esplosa nell’animo: quella per la storia, soprattutto locale: “Probabilmente è un amore anche legato alla scomparsa di mia madre, avvenuta quando avevo 17 anni, forse una forma di elaborazione del lutto. La scelta del passaggio alla Facoltà di Lettere Moderne mi sembrava la cosa giusta da fare, anche se dopo sette esami brillanti al Politecnico al tempo poteva essere considerata una pazzia”. Quaccia si laurea negli anni ’80 con una tesi dal titolo: “Investimenti devozionali ed apparati liturgici nelle visite pastorali – Ivrea 1570-1750″; poi il dottorato a Torino, la collaborazione in tanti lavori con altri storici, tra cui 9 lavori pubblicati insieme a Liliana Bovo, come “La stampa sportiva in Piemonte tra la seconda metà del XIX e l’apertura del XX secolo” del 1992, che seguì il grande volume del 1991 “Educazione fisica e sport tra ideali e simboli: l’attività ginnico-sportiva nella società eporediese dell’Ottocento”. Preziosissimo il suo contributo a vari capitoli della monumentale “Storia della Chiesa di Ivrea” a cura di Achille Erba; colpisce inoltre la sua instancabile attività di ricerca che lo ha portato a spaziare dalla medievistica alla storia del Carnevale d’Ivrea, arrivando ad oggi alla bellezza di 74 titoli complessivi tra saggi e articoli scientifici.

Dottor Quaccia, lei ha un curriculum di pubblicazioni da far invidia ad un docente universitario…
Ho avuto la fortuna di poter seguire le mie passioni e curiosità. Ad esempio, ormai 35 anni fa, mi occupai della stampa periodica a Ivrea e nel 1985 con Liliana Bovo pubblicammo per l’Accademia di Storia e Arte Canavesana “Indagine sui giornali eporediesi del secolo XIX”, che fornisce il ritratto di una realtà vivacissima. Oggi risultano forse più amplificate dalla TV e dai social, ma pure allora le polemiche erano spietate a livello locale: nell’Ottocento erano numerosi i fogli settimanali in Ivrea e ricalcavano i più accesi animi politici e polemisti (mi ricordo di una vignetta molto violenta sul Papa che oggi sarebbe sicuramente censurabile). Ma si arrivava da un Risorgimento ideologicamente molto duro, dove la contrapposizione tra clericali e anticlericali era stata da noi durissima. L’alfabetizzazione comunque a Ivrea doveva essere alta: tutti questi giornali che nascevano evidentemente avevano i loro lettori. Penso al mio bisnonno Lorenzo: era nato nel 1851 ed era un semplice contadino, ma da cattolico fu tra i fondatori della San Vincenzo e scriveva pure prendendo parte alle polemiche del tempo. Tra le testate ricordo bene il “Pensiero del Popolo”, che fu il “padre” e precursore del Risveglio Popolare.

Come storico, quale rapporto ha avuto con il Risveglio Popolare?
Sicuramente era ed è un organo diocesano che ha sempre favorito e dato spazio all’informazione culturale, dagli studi alle recensioni librarie, insomma è sempre stato uno strumento molto efficace nella comunicazione in questo settore, così come lo è stato l’altro giornale di Ivrea di tradizione più liberale. Entrambi hanno saputo superare la sfida del Novecento e rimangono i due giornali più rappresentativi di Ivrea ancora in questo primo ventennio del XXI secolo. Ho collaborato anch’io col settimanale diocesano: mandavo le mie recensioni quando al Risveglio Popolare era direttore don Michele Ferraris e poi ho un buon ricordo del redattore Federico Ganio Ottavio che seguiva anche i concerti.
Personalmente, da quando mi sono occupato di storia ho conservato tutte le copie del Risveglio Popolare, sin dai primi anni Settanta: sono ancora oggi stipati per ordine di annate in un grande armadio, al quale è legato un mio aneddoto familiare. Come tutti i contadini, mio padre aveva un gran timore del fuoco… d’altra parte, allora annessa alla casa avevamo la stalla e quindi il fieno e la paglia. Lui era terrorizzato dalla quantità di giornali e libri che portavo a casa quasi ogni giorno. Quando arrivavo dall’Università con nuovi libri sotto il braccio, li nascondevo all’entrata. Poi salivo senza nulla e mio padre mi chiedeva se avevo portato altra “carta” a casa. Ma poiché i libri e giornali aumentavano, capiva che gli nascondevo la verità. Ricordo ancora che verso la fine della sua vita, lui ottantenne girava con il bastone. Un giorno un amico mi portò ancora dei vecchi giornali e lui si arrabbiò ancora alzando il bastone per minacciarmi, invano. In fondo aveva un cuore enorme.

Cosa ne pensa della rivoluzione della comunicazione, accentuata dall’emergenza del Covid 19, ad esempio le lezioni attraverso internet o i giornali solo digitali?
Mah, io credo che per i giornali sia positiva la doppia edizione, sia cartacea che digitale, ma quella solo on-line non l’approvo. Non vorrei apparire reazionario, ma io ho da tempo e conservo tuttora avevo fortissimi dubbi su questa innovazione tecnologica. Io sono sicuramente un caso a parte perché non ho internet, non ho la televisione da una ventina d’anni e da qualche mese non ascolto nemmeno più la radio… Comunico solo col telefono, viaggio con la bicicletta, il treno e raramente la nave. In questo periodo avrei dovuto andare a fare una conferenza di argomento medievistico a Spoleto: sarebbe stato bello prendere il treno, giungere in quella bella città e condividere le gioie e le fatiche dello studio con altri studiosi e ricercatori. Data l’emergenza, l’evento è stato annullato e mi hanno proposto di tenere una videoconferenza. Ma io non ho internet e secondo me è una cosa riduttiva, per cui ho declinato l’invito. Certo, ci sono moltissimi studiosi che si sono votati ad internet e sicuramente nella ricerca ci sono dei vantaggi. Però, qualche tempo fa volevo consegnare ad uno studioso una mia recensione su cartaceo e lui mi ha detto che non conservava più la carta, ma solo documenti in formato elettronico. A Ivrea nell’archivio del Capitolo ci sono documenti del 700 d.C. che sono ancora lì oggi. Ma se per una qualsiasi ragione imprevedibile non ci fossero più le chiavi d’accesso ai documenti che hanno solo una vita informatica, virtuale, cosa succederebbe? Siamo sicuri che tutti i documenti che stiamo producendo oggi solo informaticamente saranno leggibili in futuro? E di cose imprevedibili mi pare ne stiano proprio capitando…