(Graziella Cortese)
La pandemia da Coronavirus ha segnato un tragico dato in Israele, dove sono morti oltre 900 sopravvissuti alla Shoah: hanno resistito allo sterminio nazista ma si sono arresi al Covid-19.
Nel Giorno della Memoria sono stati molti i momenti di ricordo per le vittime dell’Olocausto, ed è stata l’occasione per rispolverare nella nostra cineteca personale le pellicole sul tema. Alan J. Pakula, protagonista del cinema americano degli anni ’70, è approdato a una pellicola di grande successo con una brillante e giovane Meryl Streep che si portò a casa il secondo premio Oscar della carriera.
Siamo nel 1947 e la guerra è finita. Stingo è un giovane scrittore della Virginia che ha appena abbandonato l’uniforme dei marines; tipo anticonformista, decide di trasferirsi a New York in cerca di fortuna. Quando scopre una bizzarra abitazione dipinta di rosa, capisce di essere a casa e di aver trovato un luogo per dedicarsi in pace alla scrittura.
Ma la coppia che abita al piano di sopra è litigiosa e irruente: si tratta di Sophie Zanistoskawa, donna di origine polacca che ha subito la devastante esperienza del campo di concentramento di Auschwitz, e Nathan Landau, raffinato intellettuale ebreo che vive nell’ossessione dell’Olocausto e nell’incubo della guerra appena trascorsa.
Fra i tre protagonisti nasce un’amicizia intensa (che riporta per alcune immagini a “Jules e Jim”), finchè Sophie, lasciandosi andare a confidenze più personali, rivela un terribile segreto legato alla prigionia nel campo di sterminio.
Con dure sequenze in flashback, Sophie racconta di come sia stata costretta a scegliere chi salvare tra i suoi due bambini: un episodio che l’avrebbe segnata per tutta la vita. E che ci pone di fronte, ancora una volta, alla “banalità del male”, al rischio di considerare normali comportamenti di per sé aberranti.
Oppure semplicemente al rischio dell’abitudine: per esempio a trovare consueto un bollettino quotidiano con 500 vittime causate da un virus sconosciuto.