(Susanna Porrino)
Si può distribuire – e catalogare – una conoscenza seriale, analoga in ogni individuo e smontabile nelle varie competenze che si cerca di trasmettere lungo il percorso? È la domanda che verrebbe da porsi di fronte alle proteste e alle lamentele sollevate da più giornali in queste settimane in merito alla mancanza di dati sul livello dell’istruzione italiana in tempo di pandemia, criticando in primo luogo la cancellazione e la prospettiva di totale abolizione delle prove Invalsi nelle scuole italiane.
Si tratta di dubbi che in realtà appaiono molto più simili a tentativi di non affrontare una realtà decisamente non rosea. I dati attualmente a disposizione riguardano il sistema scolastico a un paio d’anni di distanza, e ipotizzare in termini numerici un drastico miglioramento su fronti già in passato in crisi pare alquanto inverosimile, così come illudersi che verificarne il peggioramento rappresenterebbe la fondamentale spinta verso il progresso.
Se i dati raccolti negli anni evidenziano da tempo la necessità di cambiare metodo e impostazione, ancora di più lo dimostra la realtà in cui i ragazzi fanno così fatica a muoversi anche per quanto riguarda attività basilari, come la redazione di un testo o la conversazione (almeno elementare) in una seconda lingua. Si parla molto di una “didattica delle competenze” che avrebbe dovuto privilegiare un approccio meno teorico, ma di fatto ci si è limitati a scomporre l’istruzione in una serie di moduli chiusi e conclusi in se stessi che perdono completamente di vista la dimensione globale entro cui dovrebbe svilupparsi la formazione dell’individuo.
Le fatidiche prove Invalsi nelle scuole richiedono settimane – a volte mesi – di preparazione, per allenare in classe competenze che dovrebbero essere invece state spontaneamente acquisite in anni di istruzione: la capacità di comprendere un testo (nella propria lingua madre, e in almeno una seconda lingua straniera), di enunciare gli elementi basilari della morfosintassi, di applicare i meccanismi logico – matematici ad un livello di difficoltà consono al proprio percorso.
Più che il reale livello di preparazione degli studenti, i loro insoddisfacenti risultati evidenziano il fatto che nella prospettiva dell’istruzione italiana la definizione di una serie sempre più lunga e numerosa di obiettivi e abilità poste sullo stesso piano abbia avuto un effetto opposto a ciò che si era predisposto: le competenze da raggiungere sono diventate l’obiettivo primario, verificabile attraverso test e verifiche, a discapito di una conoscenza che dovrebbe essere il presupposto per la loro reale attuazione anche in contesti diversi, ma per coltivare la quale non ci sono né il tempo né lo spazio.
Non è possibile confezionare una conoscenza che rechi fin da subito la precisione e l’efficienza di un prodotto industriale, a meno di non tentare di scomporla in parti estremamente semplici (facilmente dimenticabili, e inutilizzabili in un contesto pratico) e di ingaggiare una lotta all’errore e all’incertezza, che rappresentano invece i momenti fondamentali dell’acquisizione. Il problema con cui il sistema scolastico italiano si scontra, e con cui continuerà a scontrarsi fino a che non cambierà la propria impostazione, è la paura di proporre fin da subito ai ragazzi una materia o una questione nella sua interezza e nella sua complessità.
Se è giusto lavorare in seguito sulle singole competenze, è però fondamentale avere in mente un obiettivo molto più ampio, ovvero la padronanza completa di tutte le componenti a esse legate: parlare di un’opera senza mai effettivamente leggerla, o parlare delle caratteristiche di una lingua e delle competenze da sviluppare senza mai utilizzarla intensamente e con modalità concrete, significa dimenticare il senso della scuola e dell’istruzione. Occorre dimenticare per un momento i dati, e concentrarsi su un tipo di formazione che richiede necessariamente per percorsi diversi, ricchi, diffusi, in cui le competenze specifiche maturino come conseguenze di una conoscenza che abbraccia e allena tutte le abilità, e di cui si possono catalogare e raccogliere i frutti solo in seguito.