(Mario Berardi)
Da Zingaretti a Enrico Letta cambia il passo del Pd: nessuna nostalgia per il Governo Conte, appoggio incondizionato a Draghi, ricostituzione di un centro-sinistra ampio (da Speranza a Renzi) per un confronto alla pari con i Grillini. Il nuovo segretario punta alla leadership della coalizione e qui, inevitabilmente, si aprirà un conflitto con le aspirazioni di Conte: come nel centro-destra tra Salvini e Meloni, prevarrà l’esito elettorale tra Pd e M5S, con un probabile sistema elettorale misto (proporzionale e maggioritario nei collegi).
Secondo una “liturgia” consolidata, nel Pd dopo un segretario “rosso” ne arriva uno “bianco”: Franceschini dopo Veltroni, Renzi dopo Bersani, e ora il pupillo di Andreatta e Prodi cerca di recuperare i danni dell’improvvisa abdicazione dell’ex dirigente della Fgci Zingaretti. Ma il suo programma è stato plurale, con ampi richiami al messaggio di fratellanza di Papa Francesco e alla lezione etica di Berlinguer, con due impegni immediati: il voto ai sedicenni come segnale per le nuove generazioni, l’impegno per lo jus soli, come atto di giustizia per i nati in Italia che attendono il diritto alla cittadinanza, sinora “impedito” dalla resistenza di Salvini e Meloni.
Peraltro anche Conte cerca consensi nell’area moderata con una linea “plurale”; ma dalla periferia giungono segnali in controtendenza: a Torino, sul tema delicatissimo dell’aborto, la sindaca Chiara Appendino (M5S) e il segretario regionale del Pd Paolo Furia, hanno assunto posizioni radicali, da “pensiero unico”. Il rapporto con il territorio non sarà facile per i due leader nazionali, a cominciare dalle scelte per le prossime elezioni amministrative.
Per i grillini resta poi aperto il contenzioso con la piattaforma Rousseau di Davide Casaleggio: potrebbe esserci una nuova scissione.
In politica economica la linea appare quella dell’economia sociale di mercato; ma i punti specifici – secondo Letta – verranno fuori dall’Agorà democratica, che sarà convocata in autunno, essendo oggi prioritaria la lotta contro la pandemia, compreso il sostegno al Governo nella difficile campagna delle vaccinazioni e nel casus-belli europeo di AstraZeneca.
Superate le divisioni tra lavoratori dipendenti e Partite Iva, emerge ogni giorno di più il tema della giustizia nella società iper-capitalista. Due esempi recentissimi: la Procura di Milano ha ordinato l’assunzione di 50 mila “rider”, sfruttati con salari da fame (3-4 euro all’ora) senza tutele previdenziali. Francamente non è emersa dal mondo politico un’attenzione adeguata: lo stesso segretario Zingaretti non è andato a Milano all’assemblea dei rider, ma in tv da Barbara D’Urso.
Contestualmente Unicredit, la seconda banca italiana dopo San-Paolo-Intesa, ha scelto il nuovo Ceo, Orcel, attribuendogli uno stipendio annuale di 7,5 milioni di euro. Non si tratta di essere “populisti” o di negare l’economia di mercato, ma il sistema democratico non può reggere senza un impegno contro le crescenti diseguaglianze; è un tema che non può sfuggire alla politica, molto più importante del numero dei sottosegretari.
Tutto da scrivere è il capitolo, urgente, del ruolo paritario delle donne nella società e nella politica, dalla vita familiare all’ascesa ai vertici delle istituzioni. Non bastano le quote rosa, occorre un cambio culturale e sociale, cominciando a colpire le discriminazioni e le violenze.
Migliora invece il contesto internazionale dopo l’ascesa di Biden, che ha riattivato i rapporti con l’Europa, e dopo lo storico viaggio di Papa Francesco in Iraq all’insegna della pace tra le religioni e le nazioni. Le guerre nel Medio Oriente possono essere superate con un forte impegno politico e culturale, mentre l’Occidente deve operare seriamente, con una politica di investimenti, contro la fame e la miseria sulla quarta sponda del Mediterraneo.
Negli ultimi anni l’Italia ha perso un ruolo attivo in Libia, mentre l’Europa intera ha assistito, impotente, alle stragi decennali in Siria, con milioni di sfollati e centinaia di migliaia di vittime. Il futuro del Mediterraneo è sempre stato al centro degli uomini politici della prima Repubblica, da De Gasperi a Moro, da Craxi a Berlinguer, da Saragat a Pertini.
Oggi, tramontata l’onda corta del sovranismo (che faceva di Rimini la capitale italiana), è essenziale che la Farnesina riprenda il suo peso sullo scacchiere internazionale, per la pace e la giustizia.