(Fabrizio Dassano)

La notizia è giunta implacabile: la primavera è arrivata un giorno prima! Quest’anno ne vediamo veramente di tutti i colori: dalle regioni da disegnare in tonalità diverse con i pastelli colorati e adesso pure all’anticipo dell’equinozio che fino a pochi anni fa pensavo fosse un periodo di riposo del cavallo.

Il mio ex vicino, bloccato nel varo della sua nave dalla “zona rossa” (che sembra il nome di una corazzata sovietica), si è dato repentinamente all’astronomia, montando nel cortile della sua abitazione in campagna, un complesso sistema di osservazione dello spostamento dei corpi celesti fatto di travi di legno, scale e contrappesi per compensare lo spostamento terrestre. Comodo per le galline peraltro: infatti lo usano come trespolo e depongono le uova nella cassetta di legno della lente del telescopio.

Nella sua ultima missiva redatta su una carta intestata “Nave Topolosa”, egli asserisce che le cose che non andavano tanto bene, già le si erano viste con Giulio Cesare e il suo calendario giuliano, un calendario solare distribuito gratuitamente dai barbieri dell’impero, cioè basato sul ciclo delle stagioni che gli compilò l’astronomo egizio Sosigene di Alessandria, più conosciuto per aver ideato il casco per la permanente ancor prima dell’invenzione dell’elettricità.

Siccome Giulio Cesare come secondo lavoro faceva anche il pontefice massimo, lo promulgò a tutto l’impero nel 46 a.C. Però c’è sempre un però. Sosigene non aveva tenuto conto di un piccolo errore di calcolo, qualche manciata di secondi l’anno, cosa di poco conto se si vuole… ma intanto nel 1500 il ritardino era costato già dieci giorni. Papa Gregorio XIII, che prima era stato docente all’Università di Bologna come Ugo Boncompagni, non aveva nessuna voglia di celebrare Pasqua in estate e Natale a Carnevale. Decise così di porre rimedio al ritardino.

Dopo un accurato studio il papa, con la bolla dal titolo Inter gravissimas del 24 febbraio 1582, in accordo con la maggioranza dei principi cattolici e delle università, stabilì che al 4 ottobre 1582 avrebbe fatto seguito il 15 ottobre 1582, cancellando subito 10 giorni e che in futuro dovessero essere soppressi i giorni intercalari (cioè, i famosi 29 di febbraio) degli anni divisibili per 100 ma non divisibili per 400, per un totale di tre giorni intercalari in meno ogni 400 anni.

Il mio ex vicino inoltre mi ha precisato che: “La Terra non impiega esattamente 365 giorni a compiere il suo giro intorno al sole ma 365 giorni, 6 ore e qualche minuto. Il momento in cui il periodo di luce e di buio hanno la stessa durata, l’equinozio appunto, non può dunque ricadere esattamente uguale ogni anno. Per di più se non fosse stato introdotto l’anno bisestile, che cade ogni 4 anni, la differenza fra il calendario astronomico e quello gregoriano sarebbe ancora più marcata! Mentre la correzione del 29 febbraio permette di ridurre lo scarto tra i 365 giorni convenzionali e il tempo in più effettivamente impiegato dalla rivoluzione terrestre”.

Ma poiché l’uomo può solo avvicinarsi ma mai eguagliare la perfezione del creato, ecco qui che oggi ci anticipano la primavera: sabato 20 marzo alle ore 10.37 italiane (11.37 ora di Greenwich), il sole ha raggiunto lo Zenit dell’equatore e abbiamo avuto l’equinozio (esatto equilibrio tra luce e buio) che, nel nostro emisfero boreale, segna appunto l’inizio della primavera.

Noi che siamo cresciuti con la primavera nel cuore del 21 marzo, oggi abbiamo saputo che invece la primavera è balorda: può apparire addirittura il 19 marzo, festa dei papà! E che diamine! Di questo passo, altro che le mezze stagioni scomparse: quante ne dovremo sopportare ancora?

Ma qualcuno non diceva che la terra era piatta?