(Graziella Cortese)
Ancora Toni Servillo, nel film che forse si può definire il più bello di Paolo Sorrentino… Si può evincere l’eccezionalità di questa pellicola dal consenso ottenuto da critica e pubblico, praticamente unanime. E dal fascino misterioso di una storia di poche parole, composta di attese e inquietudine.
L’ambientazione principale delle riprese è un austero albergo svizzero: il protagonista, Titta Di Girolamo, è un uomo di cinquant’anni, silenzioso e impassibile che soggiorna (o vegeta) ormai da otto anni all’interno di quelle mura. Gli svizzeri, secondo la definizione dell’autore sembrano intenti solamente ad aspettare la morte… e Di Girolamo ben si accompagna a questa definizione; l’uomo è solo, sembra non avere conoscenze né amici, e svolge una non meglio precisata attività d’affari. Solo in seguito veniamo a sapere delle sue collusioni mafiose, del riciclaggio di denaro sporco e della necessità di drogarsi per resistere alla pesantezza del vivere. Titta cataloga ogni cosa con l’apparente freddezza delle sue frasi taglienti: ogni mese si inietta una dose di eroina, sempre di mercoledì con assoluta puntualità.
In un quadro così delineato però si potrebbe incappare in una distrazione, capita. E l’improvviso interesse del protagonista per la semplice ragazza del bar potrebbe dimostrarsi un inatteso momento di debolezza: l’uomo e la donna si vedono ogni mattina per il caffè, ma non si scambiano quasi parola, solo qualche sguardo.
“Forse sedermi a questo bancone è la cosa più pericolosa che ho fatto in tutta la mia vita” dice Titta Di Girolamo, quando si accorge che i dubbi si pagano cari, soprattutto quando si ha a che fare con personaggi di dubbia moralità prelevati da organizzazioni malavitose. Da ricordare anche una curiosità su Olivia Magnani (la cameriera Sofia), che è nipote della indimenticabile Anna.