(Mario Berardi)

Il piano per la rinascita presentato dal premier al Parlamento ha una dimensione epocale: dalla fine della guerra ad oggi mai era stato previsto un investimento così massiccio (248 miliardi di euro). È in gioco il destino dell’Italia, ha ricordato Mario Draghi, e in particolare delle giovani generazioni; su questa grande sfida economica, sociale, politica, pesano tuttavia due incognite: l’Unione europea e i partiti.

Sul versante di Bruxelles sono tornati i dubbi e le riserve sul nostro Paese. La scelta di Mattarella sull’ex presidente della BCE è stata accorta perché, con la sua autorevolezza, ha piegato i politici e i burocrati europei che volevano rinviare il sì alla concessione dei primi finanziamenti del Recovery Plan (arriveranno entro luglio). Nella UE, dopo l’ottimo esordio, la nuova presidente Ursula von Der Leyen ha subìto un ridimensionamento per la prossima eclisse di Angela Merkel, che a settembre lascerà la Cancelleria tedesca dopo 16 anni; e i sondaggi prevedono una vittoria dei Verdi e una forte flessione della CDU.

La stessa vicenda di Ankara, con la presidente UE umiliata non solo da Erdogan ma anche dal belga Michel, guida del Consiglio europeo, dimostra la inquietante lotta di potere in corso. In questo contesto Draghi, con il francese Macron, è la personalità più influente.

A Roma i problemi sorgono dalla “freddezza” dei partiti del governo di unità nazionale, più subìto per mancanza di alternative che realmente voluto. In particolare Salvini, tallonato dall’opposizione dura della Meloni, cerca spesso di differenziarsi, dalle norme sul coprifuoco alla politica sanitaria del ministro Speranza, con una Lega “di lotta e di governo”. Comprensibile che Pd e M5S reagiscano e che il nuovo Esecutivo vada in fibrillazione.

È stato il ministro Franceschini a dare l’allarme con un’intervista al “Corriere”: “Siamo un governo di avversari – ha detto – ma si deve collaborare, e non ci vorrebbe molto”. Sulla stessa lunghezza d’onda il premier ha invitato all’unità con una citazione emblematica di Alcide De Gasperi: lo statista cattolico, nel drammatico ‘43 della lotta partigiana al nazifascismo, invitava con forza all’etica politica: “…L’opera di rinnovamento fallirà se non sorgeranno uomini disinteressati, pronti a faticare e a sacrificarsi per il bene comune”.

Negli anni degasperiani la lotta di Liberazione si accompagnava ai progetti di ricostruzione; oggi la “guerra alla pandemia” pone problemi diversi, ma non meno importanti. Occorre intervenire, d’intesa con l’Europa, su sei capitoli decisivi per il futuro della società: la rivoluzione verde e la transizione ecologica, l’innovazione e la digitalizzazione, le infrastrutture, l’istruzione e la ricerca, l’inclusione e coesione sociale, la sanità. Tutti provvedimenti da avviare entro l’anno; a questo si aggiungono quattro riforme: la giustizia (soprattutto quella civile sommersa di arretrati), la pubblica amministrazione (con spazio ai giovani), la concorrenza (contro monopoli e rendite di posizione), il fisco (con il principio della gradualità).

Sono impegni massicci e determinanti, che richiederanno al Parlamento di lavorare senza sosta e senza guerre intestine, anche perché Bruxelles ci sorveglia sull’uso dei fondi. Rispetto a questo scenario così impegnativo, appare lunare discutere di crisi di governo per le aperture degli esercizi fino alle 22 o alle 24!

I partiti sono troppo condizionati dai sondaggi settimanali e dalle esigenze della propaganda. Le stesse elezioni amministrative di ottobre vanno ridimensionate nel loro significato politico – non possono essere una sfida mortale per il primato tra Salvini e Letta oppure tra Lega e Meloni, tra Grillini e Dem… – perché sono pur sempre una competizione per il sindaco, non una votazione sul Governo.

La vera partita, l’autentico referendum la società italiana lo gioca sulla capacità di vincere, nei fatti, il Recovery-fund, con un’attuazione dei progetti quantitativa e qualitativa. Occorre poi mettere in conto il sorgere di rivalità tra Comuni e Regioni e tra le stesse generazioni (Draghi punta molto sui giovani e sulle donne): già il Governatore della Campania ha sollevato critiche sul ruolo assegnato al Sud, nonostante il Recovery-plan assegni al Mezzogiorno oltre il 40% degli stanziamenti.

Il piano di rinascita coinvolge l’intera società, chiamata a distinguere tra chi lavora per l’unità e la coesione e chi si limita a sbandierare interessi di parte.