XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Fa udire i sordi e fa parlare i muti

(Elisa Moro)

“Effatà!”- “Apriti!” (Mc. 7, 35): questa parola, riportata con genuinità, senza alcun filtro di traduzione, riassume perfettamente il messaggio e l’opera stessa di Cristo. Come tanti altri episodi di guarigione, la pericope di questa domenica (Mc. 7, 31 – 37) attesta la venuta, nella persona di Gesù, del Regno di Dio, in cui si realizzano le promesse messianiche enunciate dal profeta Isaia: “Si schiuderanno gli orecchi dei sordi… griderà di gioia la lingua del muto” (Is 35, 5-6).

“Gli portarono un sordomuto…Lo prese in disparte” (v. 32 -33): il Signore vuole entrare in un rapporto strettamente individuale, “tratta con la singola persona; è tutto per lui solo, per ognuno” (Trisoglio, p. 146). Dio non vede mai la massa o la folla indistinta, che spesso trova consensi presso l’opinione pubblica, ma considera la sofferenza di un singolo, che non è solo una debolezza fisica, ma anche sociale, spirituale, esistenziale.

Beda il Venerabile, commentando questo passo, definisce il sordomuto come “colui che non apre le orecchie per ascoltare la parola di Dio, né apre la bocca per pronunziarla” (Homilia 2, 19). E’ la sordità del cuore, particolarmente diffusa nel tempo attuale, dove il crescente individualismo, la stessa tecnologia imperante, non portano che ad un accrescimento delle già significative distanze comunicative, dove “i sensi interiori corrono il rischio di spegnersi”, citando Papa Benedetto XVI, e “si riduce in modo preoccupante l’orizzonte dell’esistenza” (10/09/2006).

“Ha fatto bene ogni cosa” (v. 37): l’espressione richiama, in modo inequivocabile, Dio nel libro della Genesi (Gn. 1, 31), che, contemplando quanto aveva creato dalla Sua bontà infinita, “vide che era cosa buona”; questo parallelismo permette di vedere in Cristo “il modello a cui guardare verso una conoscenza sempre più piena della verità” (Giovanni Paolo II, 10 settembre 2000), dell’autenticità di vita.

Quando l’uomo non è spiritualmente “sordo e muto”, ogni percorso del pensiero e dell’esperienza porta in sé anche un riflesso del Creatore e gli suscita un desiderio di Bene assoluto, celato ma insopprimibile: “Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te” (Sant’Agostino, Conf. 1,1).

Solo lasciando agire Cristo nella vita di tutti i giorni si può giungere a riconoscere le “mirabilia Dei”, le meraviglie di Dio, nelle quotidianità, sullo stile di Maria nel cantico del Magnificat: “grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente” (Lc. 1, 49).

(Mc 7,31-37) In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».