(Cristina Terribili)
Non hanno faticato i talebani a mettere in atto il loro modello di cultura. Fuori le donne dal governo e poi pennelli e vernice per cancellare i cambiamenti che in vent’anni di storia recente a Kabul erano visibili anche sui muri. Trattati alla stregua di atti vandalici hanno ripristinato l’ordine del bianco.
La pulizia si fa anche in questo modo. Lo dicono le pubblicità dei detersivi che “cancellano le macchie”, le gomme, i liquidi, i nastri bianchi per rimuovere gli errori perché, se pensiamo a cancellare qualcosa, pensiamo subito che si riferisca ad un errore. La cancellazione non riguarda solo la storia del passato, i siti archeologici, il contenuto dei musei, riguarda anche il presente, quello che accade nelle strade delle città in questi giorni. Come le immagini delle violenze.
Si cancellano le prove dei misfatti così come, nella definizione del verbo “cancellare” c’è anche l’alternativa di “uccidere, annientare”. Spesso si usa dire “l’ho cancellato dalla mia vita” per riferirsi a qualcosa che è stato eliminato, tolto, estirpato, foss’anche una persona.
Un nuovo “Fahrenheit 451”, ancora quella violenza cieca che si staglia contro la luce della conoscenza. Chissà se alcuni afghani si trasformeranno in uomini e donne libro, se riusciranno a nascondere “libri proibiti” solo perché capaci di diffondere qualcosa di diverso da quello che si impone venga conosciuto, se trasmetteranno quelle storie ai propri figli affinché le imparino talmente tanto bene da essere in grado di ripeterle a memoria, di creare un patrimonio a voce in grado di trasmettersi da una generazione ad un’altra.
Quante volte vorremmo cancellare dalla nostra mente alcuni pensieri o ricordi dolorosi! Ma quel ricordare ci permette di trarre insegnamento dall’esperienza. Il ricordo ci permette di discernere, di orientarci, stabilisce i confini del nostro essere e della nostra storia. Cancellare la propria storia significa avere difficoltà a ritrovarsi, vagolare in una strana nebbia.
Lo sa bene chi vive con una persona con problemi di memoria. Non ricordare la data, l’orario, la strada di casa, le persone, le azioni… genera un immenso dolore e lo sanno bene i figli o i congiunti di persone affette dalla malattia di Alzheimer, che non vengono più riconosciute, confuse o addirittura dimenticate. Quanto dolore nelle persone che si rendono conto di dimenticare, che si rendono conto che qualcosa non va e che via via non saranno più in grado di sapere.
Nora Ephron, giornalista e sceneggiatrice, nella sua commovente testimonianza nel libro “Non mi ricordo niente”, elenca le cose che non le mancherà di ricordare così come quello che le mancherà ricordare. Oltre agli affetti più cari sapeva che le sarebbe mancato l’autunno oppure ridere, perché se perdi la memoria perdi anche questo.
Così le donne e gli uomini afghani che rimarranno a combattere contro l’annientamento della loro cultura, dovranno trasformarsi in bravi oratori, in grado di trasmettere conoscenze come se fossero storie, e più passerà il tempo queste assumeranno il tono dei racconti fantastici, in cui si narra di realtà utopiche difficilmente raggiungibili.