(Elisa Moro)

Vendi quello che hai e seguimi

“Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?” (Mc 10,17); una domanda, quella della pericope di Marco (Mc. 10, 17-30), posta dal giovane ricco, che conduce ad una ricapitolazione del senso più profondo della fede, del vero “tesoro” evangelico, che è la pienezza dell’esistenza in Cristo, il porre “la nostra speranza nel Dio vivente” (1 Tm. 4. 10), sapendo che solo seguendo Lui si è veramente uomini e donne capaci di testimoniare il Vangelo.

“Allora Gesù, fissatolo, lo amò” (v. 21): nello sguardo del Signore c’è il prototipo della vera missionarietà cristiana, che è sempre testimonianza «da persona a persona», nella piena “consapevolezza che il Padre ci ha da sempre amati nel suo Figlio, che il Cristo ama ognuno e sempre” (Giovanni Paolo II, lettera ai giovani), nella sua unicità e singolarità.

Scrutando gli occhi di quel giovane, il Signore, come ricorda San Giovanni Crisostomo, vede “del terreno fertile”, successivamente “soffocato dalla quantità delle spine” (Su Matteo, Om. 63, 58), che portano ad assolutizzare le realtà terrene, a perdersi in dettagli senza guardare all’essenziale, ignorando la voce del cuore, la reale radice di ogni desiderio umano: “desideriamo insieme la patria celeste, sospiriamo verso la patria celeste, sentiamoci pellegrini quaggiù” (Sant’Agostino, Commento Giovanni, Omelia 35, 9).

“Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio. Perché tutto è possibile presso Dio” (v. 27): la ricchezza non viene condannata arbitrariamente, ma viene riportata al suo ruolo strumentale; essa, come ricorda San Massimo di Torino, diventa “per lo stolto stimolo alla malvagità, ma per il sapiente aiuto alla virtù” (Serm. 95). Ciò che conta è una conversione, un cambiare prospettiva di vita, ricomprendendo i beni materiali, le ricchezze, ciò che si possiede, alla luce “dello splendore che non tramonta” (Sap. 7, 10), quello della “sapienza del cuore” (Sal. 89), che proviene dall’alto, da Dio e che si ottiene con la fiduciosa preghiera (cfr. Sap. 7, 7), con l’oculata capacità di comprendere cosa sia davvero “al primo posto”.

Per giungere al “centuplo”, che il Signore promette già al presente, nell’esistenza ricolma di gratitudine per i doni elargiti da Dio, “bisogna aprirsi nella fede alla grazia di Cristo” (Benedetto XVI, 15/10/2006), che sempre opera “cose grandi”, e porta a dire, ogni giorno, con le parole del Beato piemontese Pier Giorgio Frassati: “Voglio vivere e non vivacchiare!”.

(Forma breve Mc 10, 17-27) In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni. Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».