(Cristina Terribili)
Le scuole hanno ripreso a pieno le loro attività: in molte di esse è stato completato l’orario e l’organico, soltanto qualche classe sta facendo i conti con rare positività e forzati ritorni alla Dad (in ogni caso, nulla a che vedere con quanto accaduto nel 2020).
La pandemia ha costretto a ripensare l’ambiente della scuola in generale e della classe in particolare: ripensarne gli spazi, il microclima interno. Ha fatto pensare ad una “scuola fuori dalla scuola”. Non scriviamo, qui, di didattica a distanza, quanto piuttosto di nuovi percorsi didattici e culturali, che con l’estate sono stati sperimentati, non sempre con lo stesso livello di successo. Scuole all’aperto, l’outdoor education, per intenderci. Non è una modalità didattica nuova; è un approccio che viene studiato da una decina d’anni in tutto il mondo e che mette l’accento sugli apprendimenti che si possono strutturare anche fuori dalla classe nel contatto con la natura e l’ambiente.
Il Covid, che ha costretto a stare chiusi in casa, a restringere i propri orizzonti visivi e corporei, ha fatto emergere il bisogno dell’aria aperta, del contatto con la natura, di ampliare uno sguardo al di là di uno spazio o di uno schermo. Stare all’aria aperta non significa però andare a contrasto con il mondo degli apprendimenti. Pensare una scuola all’aperto non significa giocare all’aria aperta e basta, tutt’altro.
La scuola all’aperto è fatta da una didattica che usa un approccio scientifico, riportando l’osservazione dei fenomeni al primo posto: un metodo scientifico che si compone di ipotesi, osservazione, studio del fenomeno, deduzione, replicabilità dell’esperimento e trova il giusto respiro al di fuori delle mura della classe. Un piccolo esempio, che abbiamo messo in pratica durante i nostri laboratori didattici è l’individuazione delle cicale sugli alberi: dall’ascolto alla pura osservazione si è passati allo studio della vita della cicala, alla comprensione degli strumenti che usa per frinire, alle storie e alle filastrocche popolari, al significato che hanno ancora oggi, e sono state ricercate leggende o storie intorno alla cicala anche in altre culture.
Ebbene, attraverso un piccolo insetto, abbiamo studiato scienze e matematica, musica, lingua e cultura italiana, geografia. Ma soprattutto, ci siamo interrogati sul senso della vita, dell’amicizia e della competizione (tra la cicala e la formica), abbiamo appreso come non aver paura degli insetti e come la conoscenza della vita di un piccolo insetto possa dare il via alla curiosità per altre specie animali.
Il rapporto tra bambino e natura non va mai sottovalutato, anche se viviamo all’interno di un contesto naturale ancora protetto e rispettato, imparare con e attraverso la natura è un valore aggiunto preziosissimo nella vita di ciascuno.
Imparare dalla natura, dal contesto di vita, conoscere il proprio ambiente, urbano o rurale che sia, collegarlo al modo in cui si vive, alle tradizioni, ai bisogni di sviluppo sociale, economico, educativo, consente lo sviluppo di un sano senso di appartenenza e si impara a riflettere in termini di tutela e di risorsa ambientale ed umana.
L’educazione all’aperto così pensata diventa altamente inclusiva perché trasferisce naturalmente quel senso di civiltà che è insito in ognuno di noi e che ci consente di essere più umani e anche più democratici.