(Graziella Cortese)
Lo scorso inverno lo scrittore Marco Malvaldi ha presentato allo Zac di Ivrea il suo ultimo romanzo “Vento in scatola”, scritto insieme a Glay Ghammouri, ex militare dell’esercito tunisino, oggi detenuto nelle carceri italiane. Il testo narra le vicende dietro le sbarre di un uomo in fuga dal Paese di origine, le tensioni e le esperienze di una vita al limite… davvero difficile da immaginare per chi ne è al di fuori.
La pellicola di Di Costanzo è un ambiente chiuso, dove gli esseri umani vivono perché costretti (come nel suo film precedente “L’intervallo”): ci troviamo all’interno di un vecchio carcere ottocentesco, a Mortana in Sardegna; la struttura dovrà essere chiusa a causa del degrado, ma mentre tutti attendono la notizia di un trasferimento imminente, sopraggiunge una comunicazione imprevista: dodici carcerati dovranno rimanere ancora fermi nella prigione insieme ad alcune guardie carcerarie poiché non è ancora disponibile l’edificio che dovrà accoglierli.
Ora occorre quindi riorganizzare i colloqui, le attività e la vita di tutti i giorni, bisogna saper gestire l’emergenza. La natura umana qui tende a comportarsi come se fosse sotto assedio. La guardia carceraria Gaetano Gargiulo e il detenuto Carmine Lagioia (che sta scontando una pena per reati di camorra) possono conversare alla pari: finalmente privi della maschera che devono indossare quotidianamente possono ritrovare le similitudini del loro destino.
Il carcere della pellicola diventa luogo astratto e metafisico: nello spazio e nel tempo dilatato si fronteggiano Toni Servillo e Silvio Orlando (quest’ultimo nel ruolo, forse mai prima interpretato, del “cattivo”) con un’ottima prova di recitazione. Non si può tenere il vento in scatola, così come non si possono costringere dentro una gabbia l’intelligenza e il pensiero.