(Cristina Terribili)

Quando si parla di accoglienza e ospitalità, la mia mente non può fare a meno di evocare “L’Odissea”. Nel meraviglioso poema omerico esse diventano spartiacque tra il bene ed il male, tra l’essere civili e l’essere selvaggi, diventano un valore universale su cui fondare ogni civiltà e che rende la persona, capace di accogliere chi bussa ad una porta, veramente umana. Accoglienza e ospitalità sono di per se stesse parole “calde”, che abbracciano; se le si fanno risuonare in bocca ne possiamo cogliere lo spirito e il senso di avvicinamento all’altro. Non sono parole che si possono pronunciare a denti stretti, risulterebbero distorte: sono parole che richiedono un’articolazione complessa, in cui i muscoli della bocca si muovano in accordo per poterle pronunciare correttamente.

Nell’esperienza di ogni uomo l’esperienza dell’accoglienza vive sin dal concepimento: basti pensare quanto fa la differenza l’ambiente che ci accoglie. Quanto è importante che ogni donna che aspetta un bambino abbia il nutrimento adeguato, l’amore, le attenzioni che le consentono di garantire ogni benessere al nascituro. Dopo il parto, continua ad essere fondamentale, per la vita del nuovo nato, trovare quell’accoglienza fatta di calore, di pulizia, di reciprocità. Il benessere di ognuno di noi ha preso il via da come siamo stati accolti al mondo.

Si fa l’accoglienza a scuola, per permettere ai bambini di riconoscere un altro ambiente come proprio, in cui sperimentano nuove relazioni; c’è l’accoglienza sul posto di lavoro, in cui si mostrano al nuovo arrivato gli spazi, i colleghi, le mansioni…; e se trasliamo il concetto dell’accoglienza dalle persone alle case, anche queste ci appaiono poco accoglienti se sono fredde, spoglie, prive di uno spazio per chi entra.

Accogliere e ospitare è l’incontro di mondi, di pensieri, di storie solo apparentemente diversi, poiché nella nostra vita siamo spesso stati dall’una e dall’altra parte, indifferentemente. Chi chiede ospitalità sovente non ha altro da donare che se stesso. D’altra parte chi cerca accoglienza cerca anzitutto una possibilità: di riposo, di ristoro, di conforto, di scambio. Chiunque sperimenti chiusure e non accettazione del proprio sé vive una condizione di difficoltà e di insicurezza.

Se non c’è accettazione e ospitalità spesso c’è violenza, o comunque spazio che ne favorisce il sorgere.

Così il concetto dell’accoglienza diventa centrale nel modo di essere non solo del singolo ma di tutta la comunità intera: le pratiche dell’accoglienza devono essere riconosciute per riconoscere la cultura dell’altro, i suoi bisogni più intimi. Quante storie di poca accoglienza ci sono nelle nostre vite?

Sempre, ma ancor più in questi anni critici – poiché le crisi spaccano, rompono i legami, creano piani differenti tra le persone – è solo attraverso il recupero del valore dell’accoglienza e dell’ospitalità che possiamo ricucire quelle ferite sociali che attraversano le nostre strade.

La Casa dell’ospitalità ne è una testimonianza lampante.