È passata solo una settimana da quando scrivevamo, in questo stesso spazio, che non può esserci festa se non c’è il festeggiato. Parlavamo del Natale. Non si organizza la cena di compleanno con prelibatezze sulla tavola e amici intorno se il festeggiato non c’è! Che festa sarebbe, e per chi?
Scrivevamo del rischio, ormai sempre più consolidato tanto da diventare consuetudine, di lasciare fuori dalla porta il festeggiato del Natale, che – attenzione – non è Babbo Natale, nato dalla leggenda. Una settimana dopo ci troviamo di fronte non solo a vedere sparire il festeggiato, per altro sempre più sconosciuto, ma anche la parola Natale, con tutto ciò che essa rappresenta e significa per la fede e la religiosità popolare.
A creare scompiglio – e che scompiglio! – è stata la pubblicazione di un documento ad uso interno della Commissione europea dal titolo #UnionOfEquality, che avrebbe dovuto avere come scopo quello di favorire la comunicazione inclusiva poiché, sostengono a Bruxelles, certe parole e nomi non garantirebbero “il diritto di ogni persona a essere trattata in maniera uguale”. La parola Natale non era la sola “incriminata” nel documento, e i suggerimenti per cambiare nomi, modi di dire ed espressioni erano numerosi.
Per includere, verrebbe da osservare, bisogna escludere, seguendo la logica degli estensori del documento, prontamente ritirato poche ore dopo la diffusione per il polverone che ha suscitato. La laburista maltese Helena Dalli – un passato di attrice, modella e Miss Malta – lo aveva firmato come commissaria all’Eguaglianza e ha dovuto rimangiarselo con un dietrofront grottesco, ammettendo che “il documento non è maturo” e non serviva allo scopo inclusivo che si prefiggeva.
L’inclusione è sempre una buona idea, il modo per arrivarci può essere periglioso, servono naviganti esperti e attrezzati. Non è con un documento siffatto che si combattono le discriminazioni, con quell’ossessione delle istituzioni europee per un linguaggio che non faccia sentire nessuno discriminato, e fors’anche redatto con un certo pregiudizio antireligioso. Non è distruggendo le differenze che si include, e a forza di voler includere si finisce per escludere, scartare, cancellare.
Le differenze ci sono e sempre ci saranno; rispettandole, valorizzandole come ricchezze, considerando l’unità nella diversità si garantisce l’inclusione che nasce dalla memoria, senza la quale non c’è identità, e senza identità non c’è inclusione.