(Fabrizio Dassano)
In questi giorni la nebbia al mattino presto la fa da padrona. Ovviamente questo problema riguarda solo quei cittadini che si alzano al buio per andare al lavoro e/o che tornano a casa dopo il tramonto. Li riconosci spesso dal gesticolare dall’elettrauto per via della batteria andata, perché i loro autoveicoli sono costantemente in moto con i fanali accesi, riscaldamento con ventola a manetta e autoradio a palla. Entrano in auto intabarrati come astronauti che devono partire con le loro astronavi da una base di una sperduta galassia per un viaggio interstellare nel freddo e profondo universo dello spazio, fino alla nuova base… che a differenza di quella domestica ha la macchinetta automatica del caffè nel corridoio vicino all’ufficio.
Il mio ex vicino mi ha raccontato che ha dovuto – oltretutto – spostarsi per il Canavese con il suo mezzo in questi giorni anche al pomeriggio. Ieri si è dovuto recare a Chivasso dopo il lavoro e mi ha narrato di quel particolare fenomeno meteorologico noto come il “nebbione polare”. Mi ha spiegato che lui, quando c’è la nebbia, esce in strada per cercare di toccarla, di infilarci letteralmente le dita dentro, ma niente da fare, come se non ci fosse nulla: eppure non si vede niente anche se la nebbia c’è.
Gli ho chiesto delucidazioni sul “nebbione polare” e lui mi ha spiegato che il terribile fenomeno riguarda solo il basso Canavese. Insomma lì la nebbia è diversa, più fitta che a Favria o a Vische o a Ivrea, diversa da quella di Andrate, per esempio, perché lì entra in gioco il dilemma: nebbia o nuvola? Ancora differente – per dire – da quella di Candia o di Viverone perché lì ci sono i laghi. Il nebbione polare è diverso da quello centro-canavesano perché quest’ultimo ha una costituzione diversa, nasce principalmente dal fiume Dora Baltea, o dal suo affluente, il Chiusella. È una nebbia che c’è, per carità, ma quasi non si vede.
Il nebbione polare invece è un fenomeno che ti intristisce anche i fanali dell’auto. Persino la luce di cortesia dell’abitacolo che hai sopra la testa non sembra nemmeno il lumino lontano della favola di Pollicino che si rivelò poi tristemente essere la casa dell’orco e dell’orchessa. E poi bagna tutto e con le temperature sotto lo zero, tutto fa gelare. Mi ha detto che qualche giorno prima è stato immobile nella nebbia durante il passaggio da sopra a sotto lo zero e si è ritrovato coperto da una glassa di ghiaccio, esattamente come quando compri il pesce congelato che prima di cucinarlo devi levare quello strato sotto l’acqua corrente.
Ma cos’è la glassa del pesce congelato? Mi ha spiegato che si tratta dell’effetto della glassatura, cioè lo strato di ghiaccio protettivo applicato alla superficie di un prodotto della pesca congelato, una protezione naturale ottenuta con acqua destinata al consumo umano, per aspersione, per nebulizzazione o per immersione.
Rimasto senza parole, ho chiesto allora una definizione ultimativa di “nebbione polare”. Lui mi ha spiegato che in verità non c’entra molto il freddo, ma è la nebbia tipica della valle del fiume Po (da cui “polare”) che va dal Monviso all’Adriatico attraversando Brandizzo, Chivasso, Castelrosso, Verolengo e Borgo Revel. Mi ha anche ricordato che in Canavese c’è anche l’espressione “Orco, che nebbia!” che però si usa solo come esclamazione e che riguarda essenzialmente la nebbia nelle località di Cuorgnè, Salassa, Rivarolo Canavese, Feletto e San Benigno.