(Fabrizio Dassano)
In un Paese che ha dimenticato il salario minimo, con giovani formati che non riescono ad arrivare a fine mese e ancor meno a mettere su famiglia per via degli stipendi ridicoli, il messaggio di San Giovanni Bosco arriva forte e chiaro come una martellata sulle dita del “sistema Italia” in mano a capitali (pochi), a finanzieri e debiti (tanti). Mai come oggi abbiamo bisogno di esempi di uomini virtuosi, che hanno cambiato il Paese, ma anche il mondo.
Nella Torino del primo Ottocento Don Bosco dedicò la sua vita ai giovani in difficoltà, alla loro salvezza spirituale ma anche alla loro condizione sociale. Se gran parte della delinquenza di strada era giovanile, fu il primo lui a pretendere il rispetto dei diritti dei giovani lavoratori e a far stipulare per loro contratti di apprendistato. Tra l’inizio del 1800 e il 1831 la città crebbe da 80.00 a 127.000 abitanti. Le rinnovate funzioni di capitale e l’industrializzazione, attirarono in città una massa di lavoratori delle campagne in cerca di una vita migliore. Non tutti riuscirono a trovare una sistemazione stabile e furono costretti a vivere di espedienti, in una condizione di notevole emarginazione sociale. Si accampavano in baracche e tuguri nelle periferie: nascevano così i “ghetti” di Borgo Dora, di Valdocco, del Moschino e di Vanchiglia. In queste aree Torino non era molto diversa dalle città occidentali della II Rivoluzione Industriale. Chi lavorava, lo faceva per 12-14 ore al giorno, e con i figli allo sbando cresceva esponenzialmente la delinquenza arrivando a quella “professionalizzazione del crimine”. Crimine giovanile per Londra, mirabilmente descritto da Charles Dickens nel suo “Oliver Twist”.
A Torino i reati di sangue, la prostituzione e la delinquenza giovanile sempre più aggressiva, crescevano tra il quasi totale disinteresse dei nobili e della borghesia. Fu in questa città europea che operarono nell’arco di un quarantennio figure di santi, beati e laici che hanno lasciato un’impronta indelebile nel tessuto sociale della città, impronta ancora viva e visibile oggi e non solo a Torino. Un commentatore al di sopra di ogni sospetto, Umberto Eco, scriveva qualche decennio fa sull’oratorio salesiano: “…è la grande invenzione di Don Bosco. Don Bosco lo inventa, poi, lo esporta verso la rete delle parrocchie e dell’Azione cattolica, ma il nucleo è là, quando questo geniale riformatore intravede che la società industriale richiede nuovi modi di aggregazione, prima giovanile poi adulta, e inventa l’oratorio salesiano, una macchina perfetta in cui ogni canale di comunicazione, dal gioco alla musica, dal teatro alla stampa, è gestito in proprio su basi minime, e realizzato e discusso quando la comunicazione arriva da fuori (…) La genialità dell’Oratorio è che prescrive ai suoi frequentatori un codice morale e religioso, ma poi accoglie anche chi non lo segue. In tale senso il progetto di Don Bosco investe tutta la società dell’età industriale
(…) alla quale è mancato il suo “progetto don Bosco” e cioè qualcuno o gruppo con la stessa immaginazione sociologica, lo stesso senso del tempo, la stessa inventiva organizzativa”.
Don Bosco oltre a raccogliere i ragazzi negli oratori, che si diffusero ben presto, li accompagnava al mondo del lavoro. Il primo documento di garanzia per loro porta la data dell’8 febbraio 1852. Si trattava della convenzione tra il Sig. Giuseppe Bertolino Mastro Minusiere, dimorante in Torino ed il giovane Giuseppe Odasso natio di Mondovì, con intervento del Rev. Sacerdote Giovanni Bosco. La scrittura veniva redatta alla Casa dell’Oratorio a Torino sotto il titolo di San Francesco di Sales.
Al capo 1° il minusiere che lavorava a Torino riceveva in qualità di apprendista falegname il giovane Giuseppe Odasso del vivente Vincenzo, domiciliato in Torino e, vale la pena leggerlo, “si obbliga di insegnargli l’arte suddetta per lo spazio di anni due (…), di dare al medesimo nel corso del suo apprendistato le necessarie istruzioni e le migliori regole onde ben imparare ed esercitare l’arte suddetta di Minutiere e dal primo gennaio 1853 fino al terminare dell’apprendimento. Si obbliga inoltre a segnare al fine di ciaschedun mese (…) e dichiarare quale sia stata la condotta durante il mese tenuta dall’apprendista.
di dargli relativamente alla sua condotta morale e civile quegli opportuni salutari avvisi che darebbe un buon padre al proprio figlio; correggerlo amorevolmente in caso di qualche suo mancamento, sempre però con semplici parole di ammonizione e non mai con atto alcuno di maltrattamento; occuparlo inoltre continuamente in lavori propri dell’arte sua, e proporzionati alla di lui età e capacità, ed alle fisiche sue forze, ed escluso ogni qualunque altro servizio che fosse estraneo alla professione.
2. Dichiara formalmente e si obbliga l’anzidetto Mastro di lasciar liberi per intiero tutti i giorni festivi dell’anno, onde l’apprendista possa attendere alle sacre funzioni, alla scuola domenicale, e ad ogni altro dovere che gli incombe come allievo dell’Oratorio anzidetto. Qualora l’apprendista dovesse per ragioni di malattia od altro legittimo impedimento assentarsi dal suo dovere per uno spazio di tempo eccedente li giorni quindici, s’intenderà in tal caso dovuta al Mastro una buonificazione, alla quale soddisferà l’apprendista mediante l’attendenza al lavoro, terminati li due anni dell’apprendimento, per altrettanti giorni a servizio dello stesso mastro, quanti si farà risultare essere stati quelli della detta di lui assenza.
3. Lo stesso Mastro si obbliga di corrispondere settimanalmente all’apprendista l’importare della sua mercede, stata convenuta in centesimi trenta al giorno per li primi sei mesi, ed in centesimi quaranta per il secondo semestre del corrente anno 1852 ed in centesimi sessanta a principare dal primo gennaio 1853, fino al terminare dell’apprendimento. Si obbliga inoltre a segnare al fine di ciaschedun mese, in un apposito foglio che gli verrà presentato, e schiettamente dichiarare quale sia stata la condotta durante il mese tenuta dall’apprendista.
4. Il giovane Odasso promette e si obbliga di prestare, per tutto il tempo dell’apprendimento il suo servizio al detto Mastro Minusiere, con prontezza assiduità ed attenzione, ed obbediente al medesimo, comportandosi verso di lui come il dovere di buon apprendista richiede; e per cautela e guarentigia di tale obbligazione presta per sicurtà il qui presente ed accettante suo padre Vincenzo Odasso il quali si obbliga al ristoro verso l’anzidetto mastro di ogni danno che per causa dell’apprendista venisse a soffrire, sempre che però tale danno potesse all’apprendista giustamente venir imputato, fosse cioè per risultar proveniente da volontà spiegata e maliziosa, e non quale un semplice effetto di accidentalità, o per conseguenza d’imperizia nell’arte.
5. Avvenendo il caso in cui l’apprendista fosse per venire espulso, in seguito a qualche suo mancamento, dalla casa dell’Oratorio di cui presentemente è allievo, cessando allora ogni suo rapporto col Direttore dell’Oratorio, si intenderà conseguentemente anche cessata ogni influenza e relazione tra esso sig. Direttore e il Mastro Minutiere summentovato. Ma quando il commesso mancamento riguardasse soltanto l’oratorio e non riflettesse particolarmente il Mastro suddetto, s’intenderà ciò nonostante durativa ed obbligatoria nel resto la presente convenzione, fino al compimento dello stabilito termine di due anni, relativamente ad ogni altra condizione concernente esso Mastro, l’apprendista, ed il fideiussore.
6. Il Sig. Direttore dell’Oratorio summentovato promette di prestare la sua assistenza per la buona condotta dell’apprendista infintantoché continuerà questi ad appartenere all’Oratorio, epperò accoglierà sempre con premura qualunque lagnanza che occorresse al Sig. Mastro di fare sui diportamenti del detto giovane. Locché tutto promettono i contraenti, ciascheduno per la parte che personalmente lo concerne, di attendere ed osservare esattamente, sotto pena del risarcimento dei danni. Ed in fede si sono appié della presente sottoscritti.
Torino, dalla Casa dell’Oratorio di San Francesco di Sales, addì 8 febbraio 1852. Giuseppe Bertolino Odasso Giuseppe Odasso Vincenzo Sac. Bosco Giovanni.”
Quella grande riforma oggi sopravvive e prosegue la sua vocazione attraverso le istituzioni scolastiche professionali salesiane presenti anche in Canavese.