(Filippo Ciantia)

Come è profonda la tristezza e come è grande il dolore!

Del conflitto in Ucraìna quasi nulla si sottrae ai nostri occhi e alle nostre orecchie. Internet, giornali e TV ci portano in casa la tragedia di un popolo … in verità, di due popoli. Ma molto non si vede: soprattutto la crudezza dei combattimenti e della lotta strada per strada. Si vede il “dopo”, la distruzione di case, palazzi, strade, ponti e corpi. Si vede la fuga di donne e bambini verso rifugi, cantine, metropolitane o tunnel. Si vedono le colonne di auto e autobus nella direzione dei confini occidentali, in un esodo verso una terra non promessa.

La capitale ucraìna ha una lunga storia, descritta nella splendida sintesi popolare delle 4 chiese e dei 4 boschi. Quando il principe Vladimir si convertì al cristianesimo nell’anno 988, egli era il principe di Kiev: è il battesimo della Rus! Vengono costruite chiese meravigliose: l’orizzonte della città si riempie di cupole dorate. Il vescovo Tietmaro di Merseburgo, uno dei grandi storici dell’inizio del secondo millennio, narra di almeno trecento chiese nella capitale della Rus. In quei medesimi anni, dove ora sorge la città di Mosca, c’erano solo vasti boschi disabitati. La storia poi è stata crudele e drammatica, in un susseguirsi di guerre e distruzioni, periodi gloriosi, dittature e devastanti carestie …

Il principe Vladimir stesso volle la costruzione della prima chiesa in pietra di Kiev: la “Chiesa della dormizione della Vergine”, anche detta “delle decime” (che ne permisero la costruzione), fu distrutta dai mongoli di Batu Khan. La meravigliosa Santa Sofia dalle 13 cupole di quercia e il Monastero delle Grotte, fondato dai monaci Teodosio e Antonio ricordano l’antica conversione. Invece la chiesa di San Vladimiro fu eretta a Kiev per celebrare i 900 anni del battesimo della Russia.

Capiamo quindi l’orgoglio e la forza con cui si combatte l’invasore, contro ogni ragionevole aspettativa.

E la grande amarezza si acuisce, per l’aggravarsi della situazione e l’aumentare delle sofferenze. E, tristemente, perché le diverse chiese ortodosse russa e ucraìna si sono schierate anch’esse, fronteggiandosi. All’Angelus del 20 febbraio Papa Francesco ha affermato: “Com’è triste, quando persone e popoli fieri di essere cristiani vedono gli altri come nemici e pensano a farsi la guerra!”.

Papa Francesco ha continuato così nel suo Angelus: “È molto triste. Con lo Spirito di Gesù possiamo rispondere al male con il bene, possiamo amare chi ci fa del male. Così fanno i cristiani”.
La lettura del Corriere della Sera mi permette di scoprire, in una prima pagina domenicale dedicata alla guerra che divampa nelle città e ai profughi in fuga, un trafiletto prezioso, in basso, intitolato “Dio ha fermato la mia vendetta”. A 50 anni dall’assassinio del commissario Calabresi, la moglie Gemma, racconta la sua storia e il suo cammino di perdono. All’interno due pagine di commovente e lucida intervista.

Il conflitto finirà, non sappiamo ancora come e quando, con quante vittime e distruzioni, certamente il bollettino sarà pesante. Soprattutto, come dopo ogni guerra, ci saranno i bilanci, fatti di lutti, sofferenze, povertà, anche odio e risentimento.

Non sarà un passaggio facile, né breve, ma lungo e faticoso – infatti “la memoria ha le gambe”, come dice la signora Gemma -; ci sarà bisogno di un lungo cammino per arrivare alla vera pace e alla riconciliazione che può nascere solo con il perdono.

Una delle cronache a noi giunte della conversione del principe Vladimir racconta che aveva inviato nelle nazioni vicine suoi messaggeri per capire quale fosse la religione più degna per il suo regno. I messi ritornavano dalle varie città che avevano visitato e portavano notizie sulle diverse religioni. Il principe fu convinto dalle notizie che arrivarono da Costantinopoli. “Siamo stati in Santa Sofia, abbiamo assistito alla divina liturgia: era così bello che non sapevamo più se eravamo in cielo o sulla terra. Ma una cosa sola possiamo dirti: visto che c’è questa bellezza, là Dio dimora con gli uomini”.

Anche oggi è necessario che ci siano, anche piccoli e apparentemente insignificanti luoghi e gruppi di persone che coltivino la bellezza della presenza di Dio, nel canto delle loro preghiere e della carità vicendevole. Affinché la memoria possa continuare a camminare verso il perdono.

Nell’agosto del 1968, mentre i carri armati sovietici schiacciavano sotto i loro cingoli la primavera di Praga, il metropolita Antonij Bloom parlava ai suoi fedeli: “Ebbene, in questa duplice unità con gli uomini che abbiamo intorno, in questa duplice unità con il giusto e il peccatore, preghiamo per la salvezza dell’uno e dell’altro; impetriamo la misericordia di Dio, affinché i ciechi acquistino la vista, affinché la giustizia si affermi; non dico il giudizio ma la giustizia, che conduce all’amore, al trionfo dell’unità, alla vittoria di Dio”.

Amen.