(Fabrizio Dassano)
Oggi che c’è una guerra in corso tra Russi e Ucraini è facile sentir dire che “la storia non insegna niente”. Penso invece che la storia vada studiata, soprattutto quando c’è la pace e non invocata quando ormai è tardi. La decadenza delle facoltà umanistiche negli ultimi decenni ha fatto il resto: cosa può un solitario professor Barbero contro l’orda dei virologhi super star?
Il poeta Peter Handke scriveva per la sceneggiatura del cinema di un giovane Wim Wenders nel 1987, a proposito de “Il cielo sopra Berlino” parole poetiche di dolore, d’amore, di speranza, di solitudine, di guerra e di pace. Parlava di bambini: “Quando il bambino era bambino, se ne andava a braccia appese, voleva che il ruscello fosse un fiume, e questa pozza il mare… quando il bambino era bambino, non sapeva d’essere un bambino, per lui tutto aveva un’ anima, e tutte le anime erano tutt’uno… su niente aveva un’opinione, non aveva abitudini, e non faceva facce dal fotografo…”. Nel film c’era un vecchio attore simbolico, Curt Bois nato nel 1901 a Berlino e fuggito a Hollywood nel 1934 perché ebreo. Poi era tornato a Berlino Est, la sua città, ove è spirato il giorno di Natale del 1991, quando la guerra infuriava nella ex-Jugoslavia. Nel film interpretava il ruolo di uno scrittore, un narratore di nome Omero e raccontava: “Narra, Musa, del narratore, l’antico bambino, gettato ai confini del mondo, e fa che in lui ognuno si riconosca”. E ancora: “Un vecchio sono io, di voce stridula, ma il racconto si leva ancora dal profondo, e la bocca, lievemente aperta, lo ripete con forza e con facilità… Basta con l’espansione nel tempo: avanti e indietro nei secoli. Posso pensare solo da un giorno all’altro. I miei eroi non sono più guerrieri e re, ma i fatti di pace. Uno vale l’ altro: le cipolle messe a seccare, il tronco d’albero attraverso la palude… Ma ancora nessuno è riuscito a cantare un epos di pace. Cosa c’è, nella pace, che alla lunga non entusiasma, e non si presta al racconto? Devo darmi per vinto, ora? Se mi dò per vinto, allora l’umanità perderà il suo cantore, e quando l’umanità avrà perso il suo cantore, avrà perso anche l’infanzia”. “Quando il bambino era bambino, molte persone gli sembravano belle, e adesso questo gli succede solo in qualche raro caso di fortuna; s’immaginava chiaramente il Paradiso, e adesso riesce appena a sospettarlo: non riusciva a immaginarsi il Nulla, e adesso trema alla sua idea”.
Narrare la pace d’Ucraina è una cesura geopolitica ad oriente, lo possiamo asserire con una certa sicurezza se torniamo a Erodoto che per primo descrisse quei luoghi sul Mar Nero del nord in cui si impiantarono colonie greche a partire dal VII secolo a. C. e che divenne noto come Ponto Eusino. Se poi prendiamo una carta geografica e un compasso e lo puntiamo su Atene, lo apriamo fino alla colonia greca di Tharros, nell’attuale Sardegna, arriveremo ad oriente alle colonie greche di Nymphaion, Hermonassa, Phanagoreia, Mirmeklon, Theodosia, solo per citarne alcune dell’attuale Crimea, senza modificare l’ampiezza del nostro compasso. Questo semplicemente per delimitare un concetto di Occidente con epicentro nella Grecia classica. E per capire su quale antiche istanze si può basare il desiderio di Europa degli ucraini. La penisola della Crimea fu invasa nel 1237 da Batu Khan, che pose fine al domino cumano, e la parte settentrionale fece parte del canato dell’Orda d’Oro per due secoli. La popolazione cumana rimase, peraltro, a vivere nella penisola e costituì la base etnica dei Tatari di Crimea.
Nel 1261, in seguito al trattato di Ninfeo, i Genovesi sostituirono i Veneziani nel controllo degli stretti del Mar Nero e nel 1266 riuscirono a conquistare alcuni porti sulla costa meridionale della Crimea per utilizzarli come basi d’appoggio per i commerci con i popoli dell’interno. La Repubblica di Genova ebbe colonie e possedimenti nella penisola di Crimea tra il 1266 e il 1475: le principali furono Caffa, Soldaia ove oggi “Il castello dei Genovesi” è patrimonio mondiale UNESCO e Caulita, l’attuale Jalta, Cherson, l’odierna Sebastopoli e molte altre. Fra il 1362 e il 1399 i granduchi lituani Algirdas e Vitoldo conquistarono buona parte dell’odierna Ucraina, fino alle coste del Mar Nero, ponendo così fine ai principati eredi della Rus’ di Kiev. Nel frattempo nel 1386 in seguito all’Unione di Krewo la Lituania si univa al Regno di Polonia, il quale si era impossessato della Galizia o Piccola Polonia.
Una nuova fase di autonomia per il territorio ucraino si ebbe solo nel Seicento, quando i cosacchi si ribellarono al dominio polacco. Erano una comunità militare che si era sviluppata all’incirca un secolo prima, e che la Polonia aveva usato come armata per fare la guerra contro i turchi e i tatari. Ma i cosacchi nel 1648 insorsero a Bogdan Khmelnytsky, che portò a una rivoluzione e alla costituzione di un nuovo stato, l’Etmanato cosacco che riuscì a mantenere l’indipendenza per oltre un secolo.
La parte occidentale, comprendente le regioni della Galizia e della Volinia, per un periodo tornò di nuovo in possesso della Confederazione polacco-lituana. Ma quando questa si disgregò, a partire dal 1772, i territori vennero spartiti tra l’impero zarista (Volinia) e quello asburgico (Galizia) che gli diede un carattere culturale occidentale marcato.
Con Caterina di Russia terminò l’autonomia ucraina e il paese attraversò una fase di repressione soprattutto nell’Ottocento. Gli zar timorosi che la cultura e la lingua ucraina minacciassero l’unità dell’impero, furono azzerate e l’ucraino Nikolay Gogol si mise a scrivere meravigliosamente in russo ma sempre con un occhio all’Ucraina. Ribellioni furono tentate in particolare durante la Prima guerra mondiale, quando il regime zarista era più debole. Con la rivoluzione sovietica, l’Ucraina diventò una repubblica socialista, inizialmente con larga autonomia. L’Unione Sovietica, secondo il suo primo leader Lenin, doveva essere una federazione di repubbliche tra loro pari, perché non vi doveva essere egemonia di un paese sull’altro, bensì la diffusione della rivoluzione comunista nel mondo. Anche Lev Trotsky era sulle stesse posizioni. Stalin alla corsa al potere lo isolò per poi estrometterlo ed lo mandò in esilio, e anni dopo lo fece assassinare in Messico, quando diventò il leader sovietico con la morte di Lenin.
Stalin, fautore dell’idea del socialismo in un solo paese, rinunciò a pensare di esportare la rivoluzione in Europa. A partire dagli anni Trenta diede nuova importanza alla lingua e alla cultura russe, sostituendole a quelle delle altre repubbliche sovietiche, Ucraina compresa. Stalin, il cui cuoco Spiridon Putin fu anche nonno dell’attuale autocrate Vladimir Putin, perseguì anche politiche folli di riorganizzazione agricola in Ucraina che portarono, tra il 1932 e il 1933, alla famosa carestia che uccise circa 4 milioni di persone nella sola Ucraina.
Questo spiega perché quando i tedeschi di Hitler invasero l’Ucraina nel 1941 molte persone li accolsero salutandoli con il pane e il sale, come dei “liberatori”: a Babi Yar i tedeschi sterminarono qualcosa come 100.000 persone.
Altro fatto curioso è la presenza di popolazioni italiane in Ucraina e Crimea, una storia antica che ebbe il suo apice nell’Ottocento. Nel 1820 a Kerč’ abitavano si è no trenta famiglie italiane provenienti da varie regioni. Il suo porto era regolarmente frequentato da navi italiane ed era stato aperto anche un consolato del Regno di Sardegna. Uno dei viceconsoli, Antonio Felice Garibaldi, era lo zio di Giuseppe.
Fra il 1820 e la fine del secolo giunsero in Crimea, nel territorio di Kerč’, emigranti italiani provenienti soprattutto dalle località pugliesi di Trani, Bisceglie e Molfetta, allettati dalla promessa di buoni guadagni, dalla fertilità delle terre e dalla pescosità dei mari. Erano soprattutto agricoltori, uomini di mare e addetti alla cantieristica navale. La città di Kerč’ si trova infatti sull’omonimo stretto che collega il Mar Nero col Mar d’Azov. Poi arrivarono architetti, notai, medici, ingegneri e artisti e nel 1840 questi italiani cattolici in una zona prevalentemente ortodossa con una minoranza musulmana (i tatari) costruirono quella che oggi è ancora conosciuta come “la chiesa degli Italiani”. All’inizio del Novecento la chiesa aveva un parroco italiano, poi cacciato durante il comunismo, quando la chiesa fu chiusa e trasformata in deposito. Gli italiani si diffusero anche a Feodosia, Caffa, Simferopoli, Odessa, Mariupol e in alcuni altri porti russi e ucraini del Mar Nero, soprattutto a Novorossijsk e Batumi, raggiungendo la presenza di circa cinquemila persone. Non ci resta che aggiungere la presenza dell’armata del re di Sardegna con gli alleati turchi, francesi e inglesi per combattere i russi in Crimea nel 1853, un’idea di Cavour per sedere al tavolo delle trattative e mettere in luce la questione dell’unità d’Italia a spese dell’impero Austro-Ungarico.
Alla vigilia della prima guerra mondiale a Kerč’ c’era una scuola elementare italiana, una biblioteca, una sala riunioni, un club e una società cooperativa, luoghi d’incontro per la comunità. Il giornale locale Kerčenskij Rabocij in quel periodo pubblicava regolarmente articoli in lingua italiana.
Con l’avvento del comunismo, alcune famiglie fuggirono in Italia via Costanti-nopoli, gli altri furono perseguitati con l’accusa di simpatizzare per Mussolini. Una colonna corazzata lunga circa 60 km. Ha viaggiato verso Kiev per stringere d’assedio la capitale. Un epica impossibile per la pace?: “Se mi dò per vinto, allora l’umanità perderà il suo cantore, e quando l’umanità avrà perso il suo cantore, avrà perso anche l’ infanzia”.