(Fabrizio Dassano)
In questi giorni, in queste ore di orrore televisivo e social, con le immagini belliche che assalgono animi già provati da anni di pandemia, non ci resta niente da ridere.
Non ha fatto nemmeno ridere l’asteroide 2001 CB21 che lo scorso 4 marzo alle 4:00 di mattina ci ha “sfiorati” (in termini astronomici), passando ad appena 5 milioni di chilometri da noi… Ma vogliamo mettere? Piuttosto, sempre a proposito di chilometri: ma come lo riempiamo il serbatoio dell’auto, ora che il prezzo della benzina è schizzato oltre la soglia psicologica di 2 euro il litro?
A riguardo, mi ha fatto riflettere la notizia che la Polonia stia comprando dagli USA (alla modica cifra di 6 miliardi) 250 carri armati Abrams per rafforzare il suo schieramento difensivo.
Vediamo quanto consuma questo carro armato da 52 tonnellate: l’Abrams M1 fa 1 km con circa 4.5 litri di carburante, quindi 450 litri per 100 km, oppure 22 metri con un litro! Il T90A russo da 47 tonnellate va un po’ meglio in quanto a consumi perché arriva a ben 250 metri con un litro. Non ci fa ridere niente di tutto ciò. Nemmeno l’idea che, magari ispirati da Greta Thunberg, vertici militari più responsabili verso l’ambiente si dedichino in futuro ad un progetto di carro armato elettrico, meno inquinante, magari fatto di materiale riciclabile…
In realtà, anche Greta Thumberg pare già piombata in un passato distante, perché altri fantasmi del passato riemergono: con “Adolf Putin” o “Vladimir Hitler”, l’asse del distinguo “noi e loro” si è spostato parecchio ad est. Dal 1990 in poi, con la fine dell’URSS, la voglia di vivere e divertirsi alla maniera occidentale e di provare la democrazia fece sì che la maggior parte degli ex Stati membri del Patto di Varsavia aderirono alla NATO: Ungheria, Repubblica Ceca e Polonia nel 1999; cinque anni dopo seguirono Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania e Slovacchia; per ultima l’Albania nel 2009.
Non fa ridere che un noto politico italiano famoso fautore contro i flussi dei profughi africani, in queste ultime ore sia in Polonia a prendersi carico dei profughi ucraini. Non fa affatto ridere che siano prevalentemente donne ucraine e giovani figlioli scampati ai massacri. distanti da noi. È difficile abituarsi a vedere i bambini morti annegati sulla spiaggia, portati dalla corrente con una pagella scolastica cucita dentro la giacca; lo è quasi di più vederli profughi in una città dalle eleganti linee mitteleuropee dell’Ucraina.
Non fa per niente ridere che ci siamo già dimenticati della grande fuga dall’Afganistan dell’US Army e delle donne afgane, dal volto bello, ma più distanti da noi.
Non fa affatto ridere che dal 2014 i bambini del Donbass, in Ucraina, vivano sottoterra per sfuggire alle bombe ucraine senza che i grandi network se ne siano occupati, come non ha mai fatto ridere che io non abbia mai visto lo sguardo di un bambino dello Yemen lacerato dalla guerra civile. Non fa ridere vedere i morti tra le macerie delle città siriane bombardate.
È tutto così strano e surreale questo tempo sospeso tra una guerra e l’altra e una città senza il suo carnevale.
Niente fa ridere, perché non c’è ormai davvero più niente da ridere.