(Mario Berardi)
La scelta di Roma per l’incontro tra americani e cinesi sulla guerra di Putin contro l’Ucraina rappresenta una svolta per la politica estera italiana e, insieme, una possibile novità nello scenario geo-politico mondiale.
Il Governo – lo ha detto esplicitamente Draghi a Bruxelles – pensa che Putin non voglia la pace (e la distruzione del popolo ucraino lo conferma); per questo – diversamente da Macron e Scholz – il premier non insegue Mosca con le telefonate (inutili); crede invece nel “peso” delle sanzioni economiche e punta sull’isolamento internazionale del dittatore russo. Di qui l’apertura alla Cina, anche se Pechino ha mantenuto sinora un atteggiamento ambiguo, con l’astensione all’Onu sulla condanna – a larga maggioranza – dell’aggressione russa.
Roma pensa che Pechino non possa prescindere dalle relazioni economiche con l’Occidente, di gran lunga superiori a quelle con Mosca; ne consegue l’obiettivo di mantenerla neutrale “de facto”, se non mediatrice del conflitto. Questa strategia punta anche a modificare la linea “trumpiana” degli Usa, che vedeva in Pechino il nemico principale e in Mosca un “nemico-amico”. È nota, tra l’altro, la contestazione dei Repubblicani alla Santa Sede per le relazioni con Pechino.
Con la presenza a Roma i cinesi hanno ritenuto affidabile e non strumentale la disponibilità italiana. Biden deve valutare l’ipotesi di un nuovo rapporto con Pechino, evitando il rischio di una ripresa dell’asse Xi-Putin: il dialogo Usa-Cina è solo all’inizio ma potrebbe rappresentare la vera svolta per porre fine a un conflitto “eterno” (alcuni generali ucraini hanno previsto che la guerra duri sino a maggio, attribuendone la durata all’intransigenza russa sulle condizioni per Kiev). Emerge in ogni caso l’esigenza di un nuovo equilibrio mondiale, in cui ogni popolo sia rispettato, con un multilateralismo essenziale, ma attento alle singole peculiarità. In questo modo si ridurrebbe lo spazio politico ed economico al “sovranismo” e al nazionalismo esasperato e irresponsabile.
Contestualmente – con il ministro degli Esteri Di Maio – il Governo ha negato l’ipotesi di allargamento del conflitto ucraino, dicendo un fermo no all’intervento di aerei Nato (“sarebbe la terza guerra mondiale”) e ha avviato nuove intese con vari paesi asiatici e africani per ridurre (o annullare) la dipendenza energetica da Mosca.
Sul piano politico Draghi ha il pieno sostegno della nuova “coppia” Letta-Meloni (molto fermi con Mosca), mentre appare più tiepido l’appoggio di Berlusconi e Salvini, che risentono della precedente “vicinanza” con Putin (in particolare il leader leghista è stato contestato in Polonia per le sue intese con Mosca). Lega e Forza Italia continuano a dissentire su vari provvedimenti del Governo, ma sono indeboliti dalla rottura con l’area centrista, che continua a votare in Parlamento per l’Esecutivo.
Le forze politiche sono invece concordi nel sollecitare misure contro il caro-prezzi, in particolare su benzina e gasolio: sui rincari dell’energia il ministro Cingolani ha parlato apertamente di truffe e speculazioni e la Procura di Roma ha aperto un’inchiesta. Draghi ha escluso lo scenario per l’Italia di una “economia di guerra”, ma le modifiche alla vita sociale sono comunque dinnanzi agli occhi ed esigono cambiamenti profondi, a cominciare dalle scelte energetiche: già si parla (Governatore della Banca d’Italia) di ritorno al carbone e anche di “nucleare pulito”, mentre a livello europeo viene rimessa in discussione la linea dell’austerity, a cominciare dai limiti al deficit degli Stati.
Sul tema caldissimo dell’immigrazione (si parla di cinque milioni di ucraini in fuga) si registra infine una grande solidarietà degli italiani, ma anche una certa confusione di compiti tra gli enti pubblici, in particolare tra Regioni e Comuni. Occorre maturare la convinzione che la sfida della guerra esige, a tutti i livelli, un impegno analogo a quello richiesto dalla pandemia. È una prova diversa, ma altrettanto significativa, di civiltà, di umanità, di attenzione verso chi soffre. La democrazia vincerà la sua lotta contro la dittatura con la capacità di rivolgersi a tutti, senza esclusioni.