Questa mattina, giovedi, il Vescovo Edoardo ha presieduto la solenne Messa del Crisma concelebrata con i sacerdoti della diocesi. E ha rivolto ai presenti queste parole: Carissimi Fratelli e Sorelle, ogni anno, sulla soglia della Pasqua, alla luce della Parola di Dio, dei segni e delle preghiere di cui è ricca la Liturgia della Messa Crismale ho cercato di proporre alla riflessione qualche aspetto della vita cristiana. Quest’anno desidero sottolineare questo: l’unità – lo sappiamo, ne siamo convinti tutti, ma non è fuori luogo ogni tanto ritornarci col pensiero e nella preghiera – l’unità, la prima delle note caratteristiche della Chiesa Popolo santo di Dio, Corpo del Signore, è opera di Cristo. In ogni celebrazione eucaristica, al momento della Comunione, quando non c’è spazio per nostre parole vane, la Chiesa ci fa pregare: «Signore Gesù Cristo, che hai detto ai tuoi apostoli: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”, non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa, e donale unità e pace secondo la tua volontà. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli».
«Nella Chiesa – diceva Von Balthasar – ogni “voler-essere-uno” fa appello ad un “essere-già-uno”». Non possiamo dimenticare questo fatto fondamentale, questa unità che c’è perché il Signore già l’ha realizzata; e non possiamo dimenticare che questo dono è da accogliere dentro le concrete situazioni e le difficoltà del cammino. La vitalità o il languore delle nostre comunità, e della comunità diocesana nel suo insieme, dipende da questo: «Come io vi ho amato – dice Gesù proprio nella Coena Domini del Giovedì Santo – così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli».
Ai giovani che partecipavano sabato scorso alla Veglia della GMG ad Aglié ho ricordato quanto il Santo Padre ha scritto loro per l’occasione su «una paura “di sottofondo”: quella di non essere amati». Ho detto ai giovani: il Papa lo scrive a voi perché è a voi che si rivolge, ma gli adulti che sono qui vi possono assicurare che questa paura l’abbiamo tutti… Cammin facendo, qualcuno cresce, qualcuno matura, e questa paura un po’ si scioglie, ma questo accade solo se si affronta la questione alla luce della verità, cioè alla luce di Cristo, chiedendoci che cos’è amare e cosa davvero vogliamo quando vogliamo essere amati… Quanti adulti rimangono immaturi, bamboccioni, nella società, e anche nella Chiesa, nelle nostre comunità…; quante pecore (uso l’immagine cara a Gesù) capricciose, che rendono pesante l’aria e la vita delle nostre comunità… La paura di non essere amati, ragazzi, deve incontrarsi con la paura di non amare autenticamente, di rimanere sottosviluppati, immaturi nell’amore… E quando questo accade, quale che sia la vocazione accolta (matrimonio, vita consacrata, sacerdozio), quale che sia il compito, l’impegno, la missione, la vivremo sempre da rattrappiti, capricciosi, alla ricerca di qualcosa che non troviamo perché lo cerchiamo dove non c’è! Amare, alla scuola di Gesù Cristo – dice Papa Benedetto nella Deus caritas est – comporta il «processo delle purificazioni e delle maturazioni, attraverso le quali l’eros [che non si riferisce, ovviamente, solo ad un determinato ambito della persona] diventa amore nel pieno significato della parola… Questo processo di maturazione può realizzarsi solo a partire dall’intimo incontro con Dio… Lì imparo a guardare l’altra persona non più soltanto con i miei occhi e i miei sentimenti, ma secondo la prospettiva di Gesù Cristo…».
L’ha realizzata Gesù Cristo l’unità. Per questo motivo le divisioni sono qualcosa di così doloroso: nascondono la realtà, la verità; manifestano soltanto le nostre debolezze e le nostre menzogne. «Non possiamo rassegnarci – scrive un teologo italiano, p. Antonio Sicari – al fatto che l’unità non emerga; ogni divisione è una ferita, uno strappo. Per costruire una comunità occorrono quella forza, quell’energia, quella generosità, quell’impeto, quella missionarietà, quella fantasia, quella creatività che ci vengono dalla coscienza della forte unità che scorre tra noi, nel sangue di Cristo. Ciò non toglie che possiamo anche guardarci in faccia con realismo e vederci così come siamo: a volte lontani, cattivi, stupidi… Ma se vogliamo trattarci da cristiani, lavorare assieme da cristiani, se vogliamo riaggrapparci alla nostra fede, dobbiamo dire: “Questi elementi di disunione e questo sfilacciamento dei rapporti non sono verità, ma menzogna”. Nel pieno delle nostre divisioni, basterebbe che arrivasse uno a dirci: “Ricordiamoci che il Signore è in mezzo a noi!”. Basterebbe questo per ricominciare a essere uniti nel Suo nome».
Nelle nostre comunità dobbiamo imparare ad accogliere le diversità (le mille diversità dovute alla differenza di età, alla storia di ognuno, alla formazione, cultura, sensibilità, provenienza…). L’unità non è uniformità, ma lo spazio dell’incontro, del parlare con franchezza e rispetto, della larghezza d’animo e di sguardo, segno della appartenenza di ognuno a Gesù Cristo.
E allora, Popolo santo di Dio, mi permetto di richiamare a tutti noi il passo di Paolo che si legge alle Lodi del Venerdì, ogni quattro settimane (…Non sarebbe stonato se ricorresse anche ogni giorno): «Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca; ma piuttosto, parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano. E non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, col quale foste segnati per il giorno della redenzione. Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo».
Sono tante le cose che si fanno nelle nostre comunità; tante e anche con impegno, con lodevole sacrificio, come constato nella Visita Pastorale che continua. Ma non sempre il “clima” che si respira è quello che l’Apostolo propone nei versetti che precedono quelli citati: «Vi esorto io, il prigioniero nel Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. […] Vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità. […] Dovete deporre l’uomo vecchio con la condotta di prima, l’uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici e dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera. Siamo membra gli uni degli altri.[…] Non date occasione al diavolo».
Carissimi Fratelli e Sorelle, la Passione del Signore, che dall’inizio della Quaresima ci stiamo preparando a rivivere nel mistero della S. Liturgia, manifesta la “debolezza” di Dio… Una bella pagina del card. Martini la presenta – in relazione alla parabola della vigna affidata dal Padrone ai vignaioli – come l’atto con cui il Signore affida a noi le sue cose più care. «La debolezza di Dio – scrive – sta nel fatto che Egli si fida della libertà umana… E’ amore, quindi, volontà di promuovere, nel bene, la libertà degli uomini, rischiando tutto. La Croce ci manifesta questo amore salvifico ad ogni costo». Ma viene il momento – ricorda il Cardinale – in cui ai vignaioli è chiesto conto del loro operato. «La Croce – dice – è anche terribile giudizio e può esserlo proprio perché Gesù crocifisso è la prova senza riserva che Dio ci vuole liberi, vuole darci la possibilità di esprimere la nostra libertà nel servizio».
Buona Pasqua! Poveri sotto vari aspetti, bisognosi del perdono di Dio e di perdonarci a vicenda, siamo grati al Signore per la forza con cui sorregge la nostra debolezza e ci salva!
(Servizio fotografico di Giovanni Botta).