(Fabrizio Dassano)
Non c’è che dire! Tra le varie cose che la pandemia ha cambiato vi è un concetto legato a due aspetti della vita civile: la reticenza e la fine di alcune buone maniere che in genere, anziché mettere in difficoltà il tuo interlocutore, lo pongano quanto meno in uno stato poco svantaggioso.
Mi spiego con qualche esempio. Eseguiti alcuni esami di laboratorio, pochi giorni dopo sono andato a ritirarne gli esiti. Non avevo colto che si potevano ritirare anche via internet, allora ho chiesto allo sportello se potevo farlo. Mi hanno risposto di sì, certamente, per evitare di affollare inutilmente il poliambulatorio, viste tutte queste tecnologie; però mi hanno spiegato che avrei dovuto dirlo prima, in fase di accettazione: ora era troppo tardi. Mentalmente ho ripercorso le fasi salienti della prenotazione fatta via internet appunto, ma non avevo colto questa sfumatura fondamentale.
Un amico, afflitto anch’egli dai problemi di salute dell’età ormai pronunciata, doveva raccogliere tutta l’urina delle ventiquattr’ore. Per non spendere una cifra nei contenitori sterili disponibili in farmacia, si è procurato delle tanichette dell’acqua distillata. Ma a volte le cose vanno differentemente da come si prospettano: neanche a farlo apposta la sua produzione personale nel giorno prima dell’esame è stata abnorme, tanto che ha dovuto implementare la dotazione di contenitori (anche se l’indicazione era che se ne sarebbe dovuto utilizzare uno unico).
Stava per recarsi al centro prelievi della sua zona quando per scrupolo ha telefonato per sapere se doveva portare tutto quel liquido, magari con l’ausilio di un carretto. Dall’altro capo del telefono l’hanno scongiurato di non farlo, altrimenti poi all’ambulatorio si sarebbero arrabbiati: si doveva prendere una sola fialetta di tutta la raccolta. Lui ha ricontrollato sul suo foglio di istruzioni: c’erano altre informazioni, ma di quella sfumatura non vi era cenno. Per tutta risposta al telefono gli hanno chiesto: “Ma chi le ha dato quel foglio?”. E chi avrebbe dovuto darglielo se non chi aveva ricevuto la sua domanda di prenotazione?
Tra i misteri della reticenza e i nuovi atteggiamenti post pandemici ce ne sono altri, ma uno in particolare desta qualche pensiero. Spesso chi scrive o si occupa di pubblica cultura è chiamato ad andare a raccontare o istruire (ovviamente gratis) altri gruppi di persone.
Con il coronavirus le più elementari norme di accoglienza sono svanite: non c’è più la bottiglietta d’acqua per il relatore, anche se è chiamato a parlare per due ore e s’è persa l’abitudine di offrire il caffè, anche solo della macchinetta a gettoni. Piccoli gesti che possono fare la differenza dell’accoglienza o piccoli gesti legati alle grandi catastrofi virali? Il dilemma persiste e ha radici lontane.
Col distanziamento sociale e la mascherina non soltanto ci siamo occultati i connotati facciali, ma anche le voci sono cambiate. E chi è di udito debole ha poi ancora vissuto un secondo livello di distanziamento sociale. Quello di non capire cosa bofonchiano gli altri da dietro la maschera, immobili al di là di un vetro o un plexiglass!