(Editoriale)

Lentamente ma inesorabilmente la guerra in Ucraina va avanti – siamo al 64° giorno di combattimenti –, e con il contagocce, per assicurarci una migliore digeribilità (ammesso sia possibile), vengono presentate due possibili situazioni “altamente infiammabili”.

La prima, che però ormai abbiamo quasi assimilato, è quella di una guerra che sarà lunga – svariati mesi, forse un anno, o anni –, e più sarà lunga più sarà impattante sulla nostra vita, in termini di costi da sopportare e sacrifici da fare.

La seconda situazione è quella dell’allargamento del conflitto ad altri Paesi, vuoi per la continua fornitura di armi che amplia la platea degli attori “indiretti”, vuoi per la sete di conquista, e le dinamiche di potere, vendetta e ritorsione, vuoi per gli interessi globalizzati e quindi incrociati – politici, economici, strategici – che vengono toccati e smossi dal loro tenue equilibrio su cui poggiano nel tempo.

La possibilità di un conflitto “mondiale” è evocata oggi “en passant”, con un certo distacco, come ipotesi ancora lontana. Quando ce lo ripeteranno con la stessa insistenza con la quale oggi ci dicono che il conflitto sarà lungo, allora vorrà dire che ci saremo cascati dentro a piè pari, storditi e magari anche un po’ stupiti. Ci possiamo chiedere quanto tempo ci resta prima di arrivare a un tale epilogo: forse poco. A parte i belligeranti diretti – ognuno dei quali per le proprie ragioni –, nessuno sembra volere la guerra e tutti invocano la pace, per negoziare la quale – ahimè – non ci sarebbero però le condizioni.

C’è tanta insistenza sulle armi e poca, o nulla, sugli sforzi diplomatici. Nelle cancellerie c’è maggior fiducia nelle armi che nella diplomazia: le prime sono abbondanti e coltivate dalle lobby, la seconda, quasi invisibile, è scomparsa dai radar e dalle cronache giornalistiche.

Violenza chiama violenza, guerra chiama guerra e minacce chiamano vendette. In tutto ciò i mercati offrono un quadro dell’instabilità, della volatilità, dell’incertezza per cui è pressoché impossibile fare previsioni credibili sulle ricadute economiche del conflitto, e gli economisti più seri lo sanno e restano prudenti nell’indicare scenari.

Proprio ieri il presidente Mattarella ha detto al Consiglio d’Europa a Strasburgo che “la guerra è un mostro vorace, mai sazio”. E ha insistito: “dobbiamo saper opporre alla guerra la decisa volontà della pace. Diversamente ne saremo travolti”. Ecco, appunto. A quando, dunque? E in che modo?