(Fabrizio Dassano)
Questa mattina mi sono svegliato che era più buio del solito e non ho notato che in realtà era nuvoloso. Dal giardino arrivavano i suoni degli uccellini della primavera e sull’orizzonte si stagliavano colline verdissime e scure.
Dopo le abluzioni mi sono rivestito e ho messo su il caffè: ho il tempo contato per correre al fondo dell’aia, aprire l’armadio dei mangimi, miscelare mais con mangime nella ciotola, aprire il cancello, versare il contenuto nella mangiatoia e aprire la porta del pollaio. Al ritorno riempire con un piccolo innaffiatoio la ciotola dell’acqua. Se si sgarra sui tempi avvengono due cose: se ti fermi per qualche imprevisto il cane ombra ti tampona nelle gambe perché deve seguire ogni passo ed è addormentata come me. In secondo luogo il caffè fuoriesce dalla moka e allaga la cucina a gas con la tragica conseguenza di mettersi al volante senza caffè e affrontare un viaggio che fare la Parigi-Dakar è roba da niente.
L’altra mattina s’è messo a piovere e ho acceso il riscaldamento. È bello quando piove, e tu stai in macchina che muori di sonno. Meno bello se piove a dirotto e tu sei a piedi tra l’ufficio e la macchina, e naturalmente hai lasciato l’ombrello in ufficio o in macchina. Quella dell’ombrello con il cambiamento climatico che si rivela anche con la scarsità di precipitazioni, sarà una storia destinata a finire? Che fine farà l’ombrello in futuro dopo aver accompagnato l’umanità fino ad ora? Avrà un futuro l’ombrello?
Tra le cose che succedono a questo mondo, di questi tempi, mi è parsa questione di fondamentale importanza, cosa che ad esempio non si trova in nessun programma di partito impegnato alle prossime consultazioni elettorali. Mi sono chiesto: chi ha inventato l’ombrello? Guardo sull’Enciclopedia che mi ha lasciato l’ex vicino e guarda te…! Anche l’ombrello è Made in China. Un altro duro colpo al mio eurocentrismo! Dall’alba dei tempi, per il genere umano è stato indispensabile proteggersi da sole e pioggia, basti pensare all’istintivo gesto di portarsi una mano sul capo alle prime gocce! Gli antichi compresero che lasciare la mano nel portamano prima di entrare in ufficio, non era possibile.
Ci provarono gli Egizi: usavano dei ventagli parasole così come facevano gli assiri, ma l’ombrello vero, quello con le stecche che si apre e si chiude, è stato inventato nell’antica Cina, reso impermeabile con l’uso di cera e vernice e con le stecche che formano una raggiera flessibile. Hanno trovato degli ombrelli in Cina risalenti al 600 a.C. Poiché già all’epoca pioveva e vendevano molto all’estero, l’ombrello arrivò in India e da qui attraverso quella che diverrà la Via della Seta giunse in Grecia, a Roma e in Egitto.
Altro aspetto poco maschilista dell’ombrello è che a usarlo per prime in Occidente furono le donne greche, perché era legato al culto femminile di Athena e Persefone, divinità venerate da donne. L’ombrello prese a essere usato per percuotere i mariti fallaci. Ovviamente le romane, che se la tiravano, ne fecero un oggetto fashion, facendo decorare i pregiati tessuti con perle e conchiglie. Nel 1176 il Doge di Venezia chiese al Papa il permesso di mostrarsi in pubblico con un ombrello in broccato e tessuto con fili d’oro.
La solita Caterina de’ Medici che andò in Francia in moglie al re Enrico II, tra le innumerevoli cose che traslocò, c’era pure l’ombrello! Da qui all’Inghilterra la Manica è corta. Nell’Isola le donne ne fecero uno strumento indispensabile perché lassù pioveva sempre. Il primo uomo che si arrischiò di passeggiare per Londra con un ombrello fu il dottor Jonas Hanway, stufo di prendersi sempre la pioggia addosso, rompendo pregiudizi e facili ironie.
Ma fu il drammaturgo Achille Campanile a comporre un’intensa opera teatrale, dedicata all’ombrello, contenuta nel suo “Tragedie in due battute” del 1925 e recitata con due soli personaggi: il fiorellino e il fungo. Il fiorellino: “Che bella cosa essere nato vicino a te. Così tu mi ripari dalla pioggia. Ma dimmi: sei un vero ombrello o fungi da ombrello?”. Il fungo: “Fungo”.