Una serata del tutto speciale, quella che si è svolta – a cura della Biblioteca teologica diocesana e dell’Ufficio Beni culturali – in Cattedrale venerdì 10 giugno, alla scoperta dei numerosi affreschi presenti al suo interno, guardando soprattutto ad un autore, di scuola lombarda, che ha operato nel corso dei primi anni del XV secolo, Dux Aymo o Aimone Duce.
Il dottor Simone Bonicatto, dell’Università di Ginevra, ha magistralmente effettuato una panoramica sulla pittura del ‘300 e ‘400 in Canavese, soffermandosi, in particolare, sugli esempi più rappresentativi e sui diversi stili presenti, rintracciabili, ad esempio, a Settimo Vittone o a Sparone, presso la Rocca di Re Arduino. Guardando a Dux Aymo, pittore pavese, che ha operato e vissuto nei primi decenni del ‘400 a Ivrea, il relatore ha confrontato altre opere dello stesso autore, di epoca tardiva, come quelle delle Cappelle di Missione e di Villafranca Piemonte, dove risulta assai più evidente la drammaticità dei volti e l’espressionistica teatralità della scena, al punto da essere definite da Aldo Rosa, noto autore pinerolese, “tableau vivant” (quadri viventi).
Nonostante la breve permanenza eporediese, Dux Aymo ha influenzato, con la sua eleganza stilistica e la raffinatezza dei tratti, altri artisti che, sul suo esempio, si sono trovati a operare nel Duomo, in particolare Giacomino di Ivrea (1426-1469). Soffermando lo sguardo sulla delicatezza dei volti dipinti, sulla ricercatezza dei dettagli e dei colori, ancora vividi nonostante i secoli, davvero l’arte può allora divenire “via pulchritudinis”, una via della bellezza che costituisce al tempo stesso un percorso artistico, estetico, e un itinerario di ricerca e apertura al Mistero.
In un’opera famosa, “Gloria. Un’estetica teologica”, Von Balthasar, proponeva alcune espressioni suggestive a tal proposito: “La bellezza è l’ultima parola che l’intelletto pensante può osare di pronunciare… Chi, al suo nome, increspa al sorriso le labbra, giudicandola come il ninnolo di un passato borghese, di costui si può essere sicuri che – segretamente o apertamente – non è più capace di pregare e, presto, nemmeno di amare”.
Solo accogliendo la bellezza, che in questi dipinti si manifesta epifanicamente, si può essere condotti a cogliere Dio incarnato nella storia concreta dell’umanità, o, per dirla con Hermann Hesse: “si è capaci di mostrare dentro ad ogni cosa Dio”.
Elisa Moro