(di Mario Berardi)

La scissione dei Grillini cambia il panorama politico: nell’immediato il Governo Draghi continua la sua attività (anche perché le Camere hanno approvato la politica estera), ma le prospettive per il voto della primavera 2023 sono cambiate. “Insieme per il futuro”, il nuovo Movimento fondato dal ministro degli Esteri Di Maio e da una sessantina di parlamentari, punta decisamente al centro, con pieno sostegno al premier Draghi, alla scelta europea e atlantista; il M5S di Conte perde il primato in Parlamento e viene collocato alla sinistra del Pd, con forti spinte interne (Di Battista) ad uscire dall’Esecutivo per passare all’astensione, se non al voto contrario.

Nei fatti le “larghe intese” di Letta svaniscono, per la debolezza dei Grillini “ufficiali”, già molto colpiti dalla sconfitta nelle recenti amministrative, con voti ad una cifra nelle principali città. L’ala moderata del Pd chiede al segretario di guardare al centro e di attenuare la spinta radicale che ha portato al voto europeo in favore dell’aborto, al rilancio del ddl Zan, alle scelte di Torino e Milano a favore della maternità surrogata; è soprattutto ritenuta conclusa l’ipotesi di un percorso comune con l’ex premier Conte, le cui posizioni in politica estera sono spesso in conflitto con Draghi; oggi il foglio vicino a Conte (“Il Fatto Quotidiano”) è il vero organo di opposizione all’Esecutivo.

Il centro-destra, come ha scritto Marcello Sorgi, è avvantaggiato dalla esplosione grillina; ma non mancano gli interrogativi. Il primo riguarda lo scontro continuo Meloni-Salvini, che sembra copiare il duello Conte-Di Maio (e anche nei ballottaggi di domenica, in particolare a Verona e Lucca, il centro-destra è in frantumi) Ll’altro rebus riguarda l’opposizione dei ministri di Forza Italia (Carfagna, Gelmini, Brunetta) all’unione con Salvini proposta da Berlusconi; anzi le ministre guardano all’ipotesi del Grande Centro, su cui peraltro grava la competizione degli aspiranti leader: Di Maio, Calenda, Renzi, il sindaco di Milano Sala… Il richiamo alla leadership di Draghi resta teorico, perché il premier non intende scendere nell’agone politico, fedele al mandato istituzionale di Mattarella.

La crisi politica dei Grillini durava da mesi: è spiacevole che si sia mescolata con i temi delicatissimi della guerra, che meriterebbero di essere affrontati nell’interesse generale delle popolazioni colpite, della pace da conquistare, dei nuovi disastri da evitare, a cominciare dallo sblocco del grano in Ucraina.

Il Governo Draghi, paradossalmente rafforzato in Europa dalla débacle elettorale di Macron, ha oggi la responsabilità di spingere Bruxelles alla ricerca di un dialogo, difficile ma necessario, con Mosca. In questo senso è positivo il mandato delle Camere.

Altre scadenze urgenti sono il contrasto alla crisi economica, aggravata da discutibili scelte della BCE, la lotta all’inflazione, i piani d’emergenza per l’energia, dopo i nuovi tagli di Mosca alle forniture del gas: il nostro futuro in inverno si decide oggi, come il contrasto alla recessione.

Sul piano politico il terremoto grillino, mentre segna il tramonto del populismo sovranista, rilancia l’urgenza di un nuovo sistema elettorale proporzionale, in grado di superare l’eclisse delle due alleanze alternative destra-sinistra. In questo campo la parola decisiva tocca alla Lega, divisa tra l’alleanza di centro-destra e la scelta “governista” dei moderati: il ministro Giorgetti, i Governatori di Veneto e Friuli, Zaia e Fedriga.

Lo scontro continuo con la Meloni potrebbe indurre il Carroccio alla svolta, anche in considerazione del “no” di Forza Italia alla leadership di FdI.

La parcellizzazione del sistema politico, in un Paese lontano dalle urne, preoccupa anche i mercati, che temono una sindrome parigina; appare necessario, accanto alla governabilità, ridefinire i programmi, gli obiettivi, le alleanze dei partiti, tenendo conto che la guerra voluta da Mosca cambia gli equilibri geo-politici che dal dopoguerra al 24 febbraio hanno retto il mondo. Sui personalismi e le guerre intestine deve prevalere “il bene comune”, la politica come servizio al Paese.